Dice bene Gramellini: "Dovrebbe farmi paura e invece non mi fa neanche pena. Solo tanta tristezza: per lui, per me, per noi che da vent’anni scandiamo il tempo delle nostre vite con i videomessaggi di un tizio che ha sostituito la politica con l’epica dei fatti suoi".
La Stampa
Translate
giovedì 19 settembre 2013
giovedì 12 settembre 2013
Il sommo Sallusti e l’ingorillimento del Pd
Da qualche settimana ho iniziato una corrispondenza quotidiana con un amico fraterno. Anzi, in verità è una cosa che gli ho quasi imposto: gli giro per posta elettronica il pdf della prima pagina de Il Giornale, soprattutto quando c’è il pregevole del maestro Sallusti, con un mio breve commento. Oddio, commento è una parola grossa. Più che altro sono considerazioni un po’ sopra le righe e irriverenti sul pensiero (?) e l’analisi (?) politica del direttore del gazzettino berlusconiano. Ammetto la mia debolezza: mi piace leggere Sallusti e anche tal Tramontano, quando ci delizia, tanto che il mio amico, che mi conosce da sempre e mi vuole bene, si è addirittura preoccupato di una mia possibile deriva destrorsa. No, solo che mi diverte vedere come il nostro riesce (?) a difendere l’indifendibile, a distorcere la realtà, a raccontarsi un’altra storia. Il mio amico non so quanto apprezzi questa corrispondenza. Ogni tanto però risponde alle mie provocazioni e lo fa sempre in modo serio, costringendomi a un pensiero più evoluto, per quanto mi è consentito dai neuroni disponibili. Questa mattina, per esempio, il sommo Sallusti discettava sempre sul priapo di Arcore e definiva genericamente gli altri dei figuranti della politica, parlava di avanspettacolo. Il mondo alla rovescia, insomma. El me amis su questa mia considerazione mi risponde quanto segue. “Mi dispiace contraddirti, ma Sallusti ha ragione. La storia della decadenza da senatore di Berlusconi loro l'hanno spettacolarizzata e noi non abbiamo trovato di meglio che farne parte, proprio come ballerine di avanspettacolo, con il risultato, ancora una volta, di farci male, ma di farcene tanto. Tutta la comunicazione sulla faccenda non fa altro che dipingere il berlusca come un derelitto e perseguitato. se in due giorni la giunta si fosse riunita e avesse votato, avremmo avuto per altri due giorni le lamentele e i pianti della destra, ma al terzo giorno tutto sarebbe stato dimenticato, e da almeno tre settimane staremmo parlando di altro. Invece, non riusciamo a stare senza berlusconi, questo purtroppo è il nostro mantra”. Minchia, ho pensato: ha ragione. E io che volevo solo cazzeggiare. Ho quindi risposto. Aggiungo una nota di pessimismo alla tua analisi, prendendo spunto dalla profezia di Jena sulla Stampa: “Se il partito lo richiede un vero bolscevico è disposto a credere che il nero sia bianco e il bianco nero”. Dare del bolscevico a questi mi rendo conto che è un'offesa (ai bolscevichi s’intende, che è tutto dire), ma siccome Jena molti di questi li conosce anche personalmente, sa che a qualcuno questo spirito di corpo può infondere una sorta di nostalgico ingorillimento, tipico dell'uomo di mezza età che crede di farcela con la ventenne, e poi si ritrova in terapia intensiva.
lunedì 5 agosto 2013
Ingiudicabile
Far cadere il governo significherebbe scavarsi la fossa definitivamente, quindi non è lo statista (quando mai?) quello che ha parlato ieri in via del Plebiscito ai pochi militanti in gita premio, ma il vecchio e bolso leader in caduta libera che cerca di portare a casa perlomeno lo 0 a 0, per usare metafore a lui tanto care. Ma siccome alla piazza bisogna dire qualcosa, per dare un senso anche ai 40 gradi di caldo, ecco allora pronta la tesi semplice e da mandare a memoria: come si permettono dei magistrari che hanno solo passato un concorsino, dei semplici impiegati dello Stato, di giudicare e soprattutto condannare chi invece è stato votato da 10 (secondo lui) milioni di cittadini? In subordine, chi è stato votato sempre dai fantomatici 10 milioni di cittadini, ha diritto naturala alla grazia. Come scrive Curzio Maltese, un argomento che oltre Chiasso fa ridere. E il reato? Quale reato? Non se ne parla perché nel Truman Show di Silvio non conta. Essendo egli stesso il reato, è dunque oltre il reato. Quindi ingiudicabile.
sabato 3 agosto 2013
venerdì 19 luglio 2013
Volevo solo un panino, una coca e pisciare
Confesso di essere intollerante verso il marketing in tutte le sue declinazioni, dalla pubblicità televisiva (che non guardo) a quella radiofonica (che non ascolto), a qualsiasi tipo di promozione alimentare, cremale, profumale, fino ad arrivare al 3x2 delle professioni di fede. Un sabato mattina uno di questi dispensatori di verità mi ha preso alla sprovvista, nel senso che non sono riuscito nemmeno ad augurargli un attacco di emorriodi, e mi ha ricordato, via citofono, l’imminente fine del mondo e la necessità di avvicinarmi al Tempio per sperare nella salvezza. Siccome sono stato educato bene, ho gentilmente ringraziato per l’informazione sulla fine del mondo ma declinato l’invito ad approfondire l’argomento su da me, come mi aveva proposto. Al che il nostro, con tono risentito, ha manifestato tutto il suo stupore per la mia superficialità, per poi definitivamente arrabbiarsi quando, sommessamente e cercando di recuperare, ho chiesto se per Tempio intendeva il Tempio Inca, dove la sera prima avevo mangiato un’ottima pizza al salamino piccante. Pronto, pronto… Non credo verrà più a suonare al mio campanello. Tornando alla pubblicità: non so se è una persecuzione personale o se il fenomeno è diffuso su tutta la rete autostradale. Succede che l’altro giorno mi fermo a un autogrill per mangiare un panino, che all’autogrill non si chiamano normalmente panini al prosciutto, alla coppa, al salame o alla mortadella, no si chiamano Fattoria, Icaro, Rustichella e cagate del genere, che prima di andare a fare lo scontrino sei costretto a farti largo davanti all’apposito bancone per identificare nomi e ingredienti. Mi metto quindi ordinatamente in fila alla cassa e quando arriva il mio turno chiedo un piacentino, banale panino con la coppa, e una coca cola. Vuole fare il menù? Con un euro in più prende un dolce o la frutta, mi dice la cassiera gentilmente professionale. No, grazie. Non prende il dolce? Fa lei tra lo stupito e l’ammiccante: dai lo so che il dolce ti piace. No, sorrido ancora gentile. Nemmeno la frutta? In tono quasi di rimprovero. No, solo un piacentino e una coca. Caffè? No. Gratta e vinci? No. Sul gratta e vinci ammetto di aver vacillato: non ne ho mai comprato uno in vita mia ma ho sperato che gli spot fossero finiti, perché se a quel punto mi avesse offerto anche una corona del rosario l’avrei comprata pur di farla smettere. Nel frattempo la coda si era allungata paurosamente e iniziavo a sentire aumentare l’afrore di un paio di camionisti ucraini dietro di me. Volevo solo un panino e una coca, pisciare e magari sfogliare uno di quegli improbabili libri da autogrill: cento modi per scaccolarsi senza farsi notare. Invece no. Per fortuna in bagno nessuno ha indagato sul tipo di bisogno che mi accingevo a espletare elargendomi consigli (per gli acquisti) in merito.
martedì 16 luglio 2013
Oltre
Come non dare ragione a Norma Rangeri?
Dal Manifesto
Norma Rangeri
12.07.2013
Il Cavaliere riunisce il suo stato maggiore, incassa il coro pretoriano e si prepara allo show-down finale. Il governo non si discute. Si ricatta. Si tiene al guinzaglio Letta junior e intanto si mobilita la piazza contro una magistratura definita "associazione segreta". Finché non scenderà in campo Forza Italia, come nel '94, come un incubo che replica l'inizio della fine. Solo che adesso siamo già oltre la fine. E il cronoprogramma di Berlusconi prevede solo una via d'uscita, fiducioso, come è sempre avvenuto, di riuscire, con una sentenza favorevole o ribaltando il tavolo, a farla franca.
Di fronte alla falange berlusconiana c'è un Pd allo sbando, con un segretario che difende la scelta sciagurata di piegare il Parlamento alla battaglia contro la magistratura. Forse pensando di chiudere la stalla quando i buoi sono usciti da un pezzo. Il Pd in realtà lascia gestire a Berlusconi il proprio congresso e intanto scivola nel gorgo masochista in cui il gruppo dirigente ogni giorno affonda un po'. Lacerato da una guerra intestina senza quartiere, impegnato nell'eroica battaglia a chi affonda meglio il coltello nella piaga dell'avversario interno. Una rissa mediatica combattuta nel vuoto spinto della politica, mentre corre sotto traccia una riforma della Costituzione che dovrebbe regalarci l'elezione diretta di un presidente-caudillo, uomo forte al comando di un paese economicamente annientato da una destra che ha deciso chi saranno i sommersi e chi i salvati.
Chi mai avrebbe immaginato, nonostante peggiori presagi annunciati dal governo delle larghe intese, che il Pd potesse arrivare a sospendere i lavori del Parlamento perché la Cassazione aveva evitato la prescrizione di uno dei processi di Berlusconi? Neppure il più cinico osservatore della politica nazionale, nemmeno il più sconfortato militante rimasto a casa alle ultime elezioni avrebbe spinto la propria disillusione al punto di prevedere una fine così indecorosa di un gruppo dirigente già tramortito e umiliato da un governo sterilizzato nella provetta presidenziale.
Il deserto sociale in cui siamo sprofondati di fronte alla degenerazione estremista del berlusconismo, ai disastri del montismo, al fantasma di una sinistra che non c'è, rende persino difficile pensare di poter giocare la carta delle elezioni. Anche questa estrema riserva della democrazia sembra un'arma debole.
Dal Manifesto
Norma Rangeri
12.07.2013
Il Cavaliere riunisce il suo stato maggiore, incassa il coro pretoriano e si prepara allo show-down finale. Il governo non si discute. Si ricatta. Si tiene al guinzaglio Letta junior e intanto si mobilita la piazza contro una magistratura definita "associazione segreta". Finché non scenderà in campo Forza Italia, come nel '94, come un incubo che replica l'inizio della fine. Solo che adesso siamo già oltre la fine. E il cronoprogramma di Berlusconi prevede solo una via d'uscita, fiducioso, come è sempre avvenuto, di riuscire, con una sentenza favorevole o ribaltando il tavolo, a farla franca.
Di fronte alla falange berlusconiana c'è un Pd allo sbando, con un segretario che difende la scelta sciagurata di piegare il Parlamento alla battaglia contro la magistratura. Forse pensando di chiudere la stalla quando i buoi sono usciti da un pezzo. Il Pd in realtà lascia gestire a Berlusconi il proprio congresso e intanto scivola nel gorgo masochista in cui il gruppo dirigente ogni giorno affonda un po'. Lacerato da una guerra intestina senza quartiere, impegnato nell'eroica battaglia a chi affonda meglio il coltello nella piaga dell'avversario interno. Una rissa mediatica combattuta nel vuoto spinto della politica, mentre corre sotto traccia una riforma della Costituzione che dovrebbe regalarci l'elezione diretta di un presidente-caudillo, uomo forte al comando di un paese economicamente annientato da una destra che ha deciso chi saranno i sommersi e chi i salvati.
Chi mai avrebbe immaginato, nonostante peggiori presagi annunciati dal governo delle larghe intese, che il Pd potesse arrivare a sospendere i lavori del Parlamento perché la Cassazione aveva evitato la prescrizione di uno dei processi di Berlusconi? Neppure il più cinico osservatore della politica nazionale, nemmeno il più sconfortato militante rimasto a casa alle ultime elezioni avrebbe spinto la propria disillusione al punto di prevedere una fine così indecorosa di un gruppo dirigente già tramortito e umiliato da un governo sterilizzato nella provetta presidenziale.
Il deserto sociale in cui siamo sprofondati di fronte alla degenerazione estremista del berlusconismo, ai disastri del montismo, al fantasma di una sinistra che non c'è, rende persino difficile pensare di poter giocare la carta delle elezioni. Anche questa estrema riserva della democrazia sembra un'arma debole.
lunedì 8 luglio 2013
Questioni di merde
Attenti a dire che l’Italia è un paese di merda: da oggi si rischia una denuncia per vilipendio. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, chiamata a prendere in esame il caso di un signore, non importa chi, che aveva espresso il suo colorato giudizio (e non è una battuta) a causa di una multa. Il diritto di manifestare il proprio pensiero in qualsiasi modo (per esempio dire che l’Italia è un paese di merda, ndr), scrivono gli ermellini, “non può trascendere in offese grossolane e brutali prive di alcuna correlazione con una critica obiettiva". Per integrare il reato, previsto dall'articolo 291 del codice penale, "è sufficiente una manifestazione generica di vilipendio alla nazione, da intendersi come comunità avente la stessa origine territoriale, storia, lingua e cultura, effettuata pubblicamente". L’Italia è un paese di merda rientra dunque tra queste.
Il reato in esame (l’Italia è un paese di merda, ndr), spiega la Suprema Corte, "non consiste in atti di ostilità o di violenza o in manifestazioni di odio: basta l'offesa alla nazione, cioè un'espressione di ingiuria o di disprezzo che leda il prestigio o l'onore della collettività nazionale, a prescindere dai vari sentimenti nutriti dall'autore".
Ecco perché il comportamento dell'imputato, che "in luogo pubblico, ha inveito contro la nazione", (gridando, lo ricordo, l’Italia è un paese di merda) , "sia pure nel contesto di un'accesa discussione dopo la contestazione elevatagli dai carabinieri per aver condotto un'autovettura con un solo faro funzionante, integra il delitto di vilipendio previsto dall'articolo 291 del codice penale".
Questo, osservano sempre i giudici, "sia nel profilo materiale, per la grossolana brutalità delle parole pronunciate pubblicamente, tali da ledere oggettivamente il prestigio o l'onore della collettività nazionale, sia nel profilo psicologico, integrato dal dolo generico, ossia dalla coscienza e volontà di proferire, al cospetto dei verbalizzanti e dei numerosi cittadini presenti sulla pubblica via nel medesimo frangente, le menzionate espressioni di disprezzo, a prescindere dai veri sentimenti nutriti dall'autore e dal movente, nella specie di irata contrarietà per la contravvenzione subita, che abbia spinto l'agente a compiere l'atto di vilipendio": l’Italia è un paese di merda.
Domanda. Se però, genericamente, parliamo di un luogo, Utopia, per dire, sotto scacco da 20 anni di un tycoon televisivo e dall’incapacità della politica di cancellarne le gesta; un paese capace di eleggere per due legislature e di pagare lo stipendio a un mentecatto del genere http://video.repubblica.it/politica/razzi-e-l-interrogazione-impossibile-sui-corridoi-ferroviari/132791/131310?ref=search ; un paese che non ha rispetto della propria cultura; che costringe persone alla soglia dei 50 anni e con 3 lauree al precariato scolastico; che ogni primo luglio le umilia a fare la fila sin dalle prime luci dell’alba all’ufficio collocamento per elemosinare la disoccupazione, ecc. ecc.: questo possiamo dirlo che è un paese di merda o no? Se poi questo paese è anche l’Italia, pazienza.
Il reato in esame (l’Italia è un paese di merda, ndr), spiega la Suprema Corte, "non consiste in atti di ostilità o di violenza o in manifestazioni di odio: basta l'offesa alla nazione, cioè un'espressione di ingiuria o di disprezzo che leda il prestigio o l'onore della collettività nazionale, a prescindere dai vari sentimenti nutriti dall'autore".
Ecco perché il comportamento dell'imputato, che "in luogo pubblico, ha inveito contro la nazione", (gridando, lo ricordo, l’Italia è un paese di merda) , "sia pure nel contesto di un'accesa discussione dopo la contestazione elevatagli dai carabinieri per aver condotto un'autovettura con un solo faro funzionante, integra il delitto di vilipendio previsto dall'articolo 291 del codice penale".
Questo, osservano sempre i giudici, "sia nel profilo materiale, per la grossolana brutalità delle parole pronunciate pubblicamente, tali da ledere oggettivamente il prestigio o l'onore della collettività nazionale, sia nel profilo psicologico, integrato dal dolo generico, ossia dalla coscienza e volontà di proferire, al cospetto dei verbalizzanti e dei numerosi cittadini presenti sulla pubblica via nel medesimo frangente, le menzionate espressioni di disprezzo, a prescindere dai veri sentimenti nutriti dall'autore e dal movente, nella specie di irata contrarietà per la contravvenzione subita, che abbia spinto l'agente a compiere l'atto di vilipendio": l’Italia è un paese di merda.
Domanda. Se però, genericamente, parliamo di un luogo, Utopia, per dire, sotto scacco da 20 anni di un tycoon televisivo e dall’incapacità della politica di cancellarne le gesta; un paese capace di eleggere per due legislature e di pagare lo stipendio a un mentecatto del genere http://video.repubblica.it/politica/razzi-e-l-interrogazione-impossibile-sui-corridoi-ferroviari/132791/131310?ref=search ; un paese che non ha rispetto della propria cultura; che costringe persone alla soglia dei 50 anni e con 3 lauree al precariato scolastico; che ogni primo luglio le umilia a fare la fila sin dalle prime luci dell’alba all’ufficio collocamento per elemosinare la disoccupazione, ecc. ecc.: questo possiamo dirlo che è un paese di merda o no? Se poi questo paese è anche l’Italia, pazienza.
Iscriviti a:
Post (Atom)