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sabato 16 giugno 2018

Come la mappa del cielo

“Come la mappa del cielo”, secondo impegno letterario di Lucio Dall’Angelo, dopo “il libro di Baruc” del lontano ‘94, vincitore del prestigioso premio Alberto Tedeschi come miglior giallo inedito e ormai introvabile: rimpiango ancora quel giorno che mi è venuta la malaugurata idea di parlarne ad un amico e di prestarglielo, per non rivederlo mai più.
“Come la mappa del cielo” è un libro bello bello, che detto così sembra un... commento pre adolescenziale – dai, alla tua età puoi fare di meglio – ma è quella bellezza che non sapresti dire diversamente, che ti cattura dall’incipit, ti prende per mano e ti guida attraverso tutti i piani del racconto – e sono tanti – per portarti, con armonia, che della bellezza è parente stretta, a colorare tutte le immagini, o meglio, le mappe, che l’autore ha disegnato sotto la volta del cielo. Rebecca e Francesco sono due ragazzi di 16 e 17 anni, che si incontrano, si annusano ed è come se si conoscessero da sempre. Entrambi stanno cercando delle risposte, che per chiunque a quell’età rappresentano un po’ lo spartiacque della crescita, ma per loro un po’ di più: perché sono risposte senza le quali non potrebbero andare avanti. Rebecca non ha mai saputo chi è suo padre, La vita di Francesco e della sua famiglia è ferma all'incrocio dove il fratello è morto in un incidente in moto e lui è rimasto paralizzato. "Come la mappa del cielo" non è un giallo, almeno secondo i sacri crismi. C’è però un mistero, che porterà i due ragazzi alle verità che cercavano ed è il filo conduttore dell’intera vicenda: la ricerca dell’alfabeto degli antichi camuni, un codice di comunicazione in grado di creare una relazione diretta tra gli uomini, il cielo e la divinità. Ipotesi suggestiva di un giovane archeologo scomparso nel nulla una 15ina di anni prima, mentre stava verificando sul campo le proprie teorie. E questo campo è la Valcamonica, la valle dei segni, la mia valle, che Lucio Dall’Angelo (mi) restituisce in tutta la sua bellezza facendone il palcoscenico di storia, di stelle e di roccia del suo racconto. Nel libro non ci sono solo Rebecca e Francesco, che in Valcamonica, a Ponte di Legno, si trovano in vacanza e che cercano di riannodare i fili di quelle suggestive teorie preistoriche e della loro vita partendo da una foto trovata ne “Il Quindo Evangelio” (libro non a caso) scovato nella libreria della nonna della ragazzina. Ci sono altri personaggi, solo apparentemente minori. In realtà, ed è questa un’altra bellezza dell'opera, tutti hanno una coralità fondamentale nello sviluppo della trama. Alla fine la mappa, in tutte le sue declinazioni, si completerà. La speranza, mia perlomeno, è che Rebecca e Francesco completino un altro percorso di scoperta, del quale Dall'Angelo sapientemente fa cenno più o meno a metà per riprendere nelle ultime righe e che li potrebbe portare in India, sulla rotta dei migranti italiani nelle minierie d'oro.

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