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venerdì 22 settembre 2017

Nicolina e le altre


All’inizio della mia carriera ho fatto per molto tempo il cronista di nera. Diciamo che nei giornali locali fare la nera è un po’ un passaggio obbligato, una sorta di esame di idoneità alla professione. Il primo morto è il battesimo del sangue. Devi uscire senza porti tante domande, sapendo che comunque non vedrai uno spettacolo edificante. Che dovrai aprire occhi, orecchie e attivare tutti gli altri sensi per vedere, carpire e annusare più informazioni possibili. Contemporaneamente, marcare stretto i colleghi della concorrenza, perché non facciano cose che avresti potuto fare tu, amare il fotografo che viene con te più della tua signora, imparare a dettare a braccio – sperando in una cabina o un telefono pubblico vicini, allora con c’erano i cellulari – o correre in redazione scrivendoti mentalmente il pezzo perché sai già che dal minuto 2 da quando varcherai quella soglia, dal direttore in giù inizieranno a chiederti quanto ti manca, senza magari averti detto quanto spazio hai a disposizione. E questa è la parte migliore. O più facile. C’è infatti una variabile, o per meglio dire una costante che, almeno io, non avrei mai voluto fare. Parlare con la famiglia del morto. Tu e la tua bella faccia, scortato dal fido fotografo, ti dovevi presentare alla porta di persone appena travolte da uno tsunami di emozioni, personali, intime, private, chiedendo di essere invitato a condividerle. Un elefante in una cristalleria. In quei momenti sarei volentieri sprofondato, speravo meschinamente che ad aprire fosse una donna, perché una sberla è sempre meglio di un pugno, o di un calcio. Sapendo peraltro che avrebbero avuto ragione loro. Fortunatamente non mi è mai successo nulla di grave, se non a volte dover portare a casa qualche mala parola, anche questa del tutto legittima. Ricordo che una volta tornando sconsolato, più per la vergogna che per l’umiliazione, dissi alla mia signora: se mi dovesse succedere qualcosa tratta bene i giornalisti, non è colpa loro. Certo a volte accadeva che nello spaesamento dovuto all’enormità dell’accaduto qualcuno ti aprisse, ti facesse sedere e lasciasse scorrere le parole. In quei casi, l’imbarazzo, se possibile, era ancora più grande: da un lato sapevo che avrei avuto i complimenti di tutte le gerarchie editoriali e l’ammirazione dei colleghi per una storia in esclusiva, dall’altro mi sembrava di aggiungere violenza a violenza, riportando quelle confidenze che mai sarebbero state fatte ad uno sconosciuto, se non in un momento di estraneazione dalla realtà. Tutto questo per dire che sono d’accordo con quello che scrive oggi Michele Serra sull’orrenda vicenda della ragazzina pugliese ammazzata dall’ex compagno della madre. E’ un mondo senza pudore dove la morbosità del male si è trasformata in popolarità, a favore di telecamera e di selfie.

“La popolarità del Male, rispetto alla sua banalità, è uno stadio più avanzato in direzione della sua metabolizzazione e, direbbe un pessimista, del suo trionfo. Il Male, nell'evo della comunicazione globale e capillare, dei network e dei social, è una dimestichezza da ostentare, è un linguaggio da padroneggiare. Nessuno arretri, nessuno si faccia trovare impreparato o muto, atterrito o vinto, di fronte al Male. Gli faranno un selfie, molto presto, al Male, posando accanto a lui come accanto a Messi o a Lady Gaga.

La sfortunata madre della povera ragazza Nicolina ha concesso una lunga e quasi ciarliera intervista a una trasmissione Mediaset del mattino mentre la figlia agonizzava in ospedale, colpita in faccia (in faccia!), mentre andava a scuola, dalle pistolettate di un ex fidanzato di mamma, uno dei tanti ributtanti maschi omicidi (e poi suicidi) che non tollerando di essere lasciati da una femmina soffocano l'onta nel sangue.

Non si pretendono, dalla gente semplice, i toni della tragedia greca. Ma la gente semplice, fino a non tanti anni fa, sapeva ammutolire. Chiamatelo pudore, dignità, vergogna, chiamatelo come preferite, ma quando la voce del dolore rimaneva chiusa nelle stanze dei disperati, il Male non mieteva un successo così corale, e non trovava inserzionisti pubblicitari, già al mattino presto, disposti a cavalcarlo".


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