Translate

mercoledì 13 gennaio 2016

Mia bu du (2)


Claudio era il più bravo. Infatti arrivava sempre con soltanto una biglia in tasca. E se malauguratamente capitava che la perdesse se ne faceva prestare un’altra da uno di noi e immancabilmente iniziava la raccolta. In verità capitava raramente, non solo che perdesse ma anche che qualcuno fosse disposto a confrontarsi con lui. Inutile dire che io non mi tiravo mai indietro: vedere giocare Claudio, che era un po’ più grande di me e di tutti i miei sodali delle biglie (o cicche, nell’idioma autoctono) era uno spettacolo. In ogni caso delle biglie perse mi sarei rifatto in seguito con i miei pari. Poi, vuoi mettere vincere una biglia a Claudio: diventavi l’eroe di giornata e quella biglia, che era stata nelle mani del campione del me paes, era un trofeo da esibire e da utilizzare nelle partite successive, per sfruttarne la magia. Ognuno di noi aveva una biglia preferita, con la quale giocava: in caso di perdita consegnava all’avversario una di quelle di scorta che teneva in tasca. Ogni tanto qualcuno arrivava con la marmorina, la regina delle biglie: bianca, con sfumature di colore, che logicamente non veniva mai messa in palio dal proprietario, almeno fino a quando rimaneva a secco. Solo allora, a fronte di minimo 10 ciccate, in caso logicamente di partita testa a testa, la mitica marmorina poteva passare di mano. La mia biglia portafortuna aveva sfumature arancioni e me la son sempre tenuta, anche perché non faceva gola a nessuno. Il campo di gioco preferito era ai margini del piazzale della grande fabbrica dove lavoravano tutti i nostri genitori, poco prima del canale che scorreva a fianco della parete sud del cotonifico e degli orti, a disposizione dei residenti nelle case operaie, dove sempre i nostri genitori coltivavano la verdura e allevavano galline e conigli. Approfittando di una riasfaltatura avevamo scavato una piccola buca che, come dicevo nella puntata precedente, rappresentava il cuore del gioco, l’abbrivio di tutto, in un certo senso metafora della vita, ma all’epoca non arrivavo a tanto. E fortunatamente questo potrebbe rappresentare un’attenuante. Quella era la buca per antonomasia. A cicche si giocava lì. Il campo principale, il Maracanà, il Bernabeu delle biglie era il piazzale dell’Olcese. Lì venivano i bambini da tutte le contrade, persino dall’estremo Nord, dalla località Prada, terra di nessuno tra i paesi di Cogno e di Cividate. Arrivavano in bici e comunque giocavano sempre fuori casa. I padroni del campo eravamo noi delle case operaie. E Claudio era uno dei nostri.

(Continua)

Nessun commento: