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sabato 21 febbraio 2009

Senza barriera

Una sera, diversi anni fa, avevo appuntamento al solito bar del paese per seguire in tv una partita di calcio. Mercoledì di coppa. Non ricordo che partita fosse, ma, visti i miei amici, sicuramente giocava il Milan. Arrivo al bar e trovo già tutti schierati nella saletta tv, con una novità rispetto alla formazione tipo. In prima fila c’è Geki, scritto e pronunciato diminutivo di Giacomo, sedia rivoltata ad un metro dallo schermo, braccia appoggiate allo schienale a sorreggere il viso. Guardo gli altri interrogativo ed ho come rimando sorrisi che significano: boh, si è messo lì, lascia stare. Non che volessi fare alcunchè, ci mancherebbe. Il fatto strano è che non avevo mai visto Geki seguire una partita di calcio e nemmeno ricordavo fosse mai intervenuto ad una delle nostre dotte disquisizioni di stampo biscardiano. Inizia la gara e con lei la partecipazione attiva dell’uditorio, con tutta la serie di commenti più o meno opportuni, più o meno politically correct. Geki niente. Impassibile. Non si perde un secondo di gioco. Non si scompone nemmeno quando al Milan vengono assegnate 2-3 punizioni di fila dal limite e la tensione porta tutta la saletta alle sue spalle a fargli da corona, pronta ad esultare in caso di gol ma costretta a ricacciarsi l'urlo in gola per la solida opposizione della barriera. Finisce il primo tempo sullo 0 a 0. I giocatori rientrano negli spogliatoi, la formazione del bar ordina compatta un amaro e si fa forza per la seconda frazione. Geki rimane lì a presidiare. Ripresa. La gara va avanti sulla falsariga del primo tempo. Più passano i minuti più cresce la tensione. Il Milan attacca ma non sfonda. Altra serie di punizioni dal limite senza esito. Poi, finalmente, un rossonero entra in area e un avversario lo stende. Rigore urla compatto il bar. Rigore decreta l’arbitro. Pallone sul dischetto. Silenzio in sala. Tensione palpabile. A quel punto Geki si muove sulla sedia. Si gira leggermente verso la curva tenendo però un occhio sempre fisso allo schermo e dice: adess ghe mia bariera che tegn. Che nella lingua di Dante significa: ora non c’è alcuna barriera a difenderli.
E’ lo stesso pensiero che ho fatto quando Walter Veltroni ha dato le dimissioni da segretario fondatore del partito democratico. Ora che il buon Walter si è fatto da parte, tutti i capibastone, più o meno iscarioti, più o meno teo qualcosa, più o meno interessati, sparigliatori di carte, sempre pronti ai distinguo, hanno esaurito gli alibi. Ora che Walter, perfetto Monsieur Malaussene, è uscito di scena, è finita la ricreazione. Non che l’ex sindaco di Roma sia immune da colpe per la disfatta. Ma era chiaro sin dall’inizio che il suo incarico nasceva da un semplice calcolo di opportunità. Era rimasto probabilmente l’unico volto spendibile, in grado di rappresentare il nuovo e di proporre un modo di fare politica non urlato. Vai avanti tu. Se avesse vinto le elezioni forse sarebbe stato tutto diverso. Invece. Invece quando poi si è girato non c’era più nessuno, a parte Franceschini, che è la stessa cosa. L’errore esiziale del pd, condiviso dall’intero gruppo dirigente immagino, è alla base. Non è stato cioè quello di escludere la sinistra massimalista e socialista dalla coalizione, ma di aver pensato di riuscire ad essere sintesi delle due principali ideologie contrapposte del 900, quella cattolica e quella comunista, senza che queste passassero attraverso un’autoanalisi critica, abbandonando i vecchi schemi. Riuscendo da una parte a staccarsi dalle dita il rosario, in una società peraltro secolarizzata, dall’altra a pensare a cosa significa essere sinistra, al di là del pugno chiuso e della falce e martello. Il re è nudo. Credo che le dimissioni di yeswecan, trasformatosi troppo presto in nodiocan, debbano e possano essere capitalizzate dando finalmente una connotazione e una direzione vera al partito. Una connotazione e una direzione che non può non essere che laica e di sinistra. E se questo significa perdere Rutelli e tutti i teo, non si aspetti oltre. Ezio Mauro, che ha sempre sostenuto il progetto, scrive: “È davvero così difficile sostenere che credenti e non credenti hanno a pari titolo la loro casa nel Pd, ma il partito ha tra le sue regole di fondo la separazione tra Stato e Chiesa, tra la legge del Creatore e la legge delle creature? Soprattutto, è un tabù pronunciare la parola sinistra nel Partito democratico, pur sapendo bene che socio fondatore è la Margherita, con la sua storia? Quando ciò che è al governo è "destra realizzata", anzi destra al cubo, con tre partiti tutti post-costituzionali e l'espulsione dell'anima cattolica dell'Udc, come può ciò che si oppone a tutto questo non definirsi sinistra, naturalmente del nuovo secolo, risolta, europea e riformista?”. Negli ultimi mesi, in piena crisi economica, per dire solo uno dei problemi che affliggono il paese, il pd è stato capace di stracciarsi le vesti per la presidenza della commissione di vigilanza rai, ha concionato ed ha messo il muso sulla collocazione in europa: socialisti? Popolari? un po’ di qua e un po’ di là? liberal socialisti? Fino ad arrivare all’apoteosi del caso Englaro quando, pur di non scontentare nessuno, ha dato un’indicazione generica, lasciando ognuno libero di votare secondo il proprio credo. Walter, andandosene, ha servito un assist straordinario. L’ultima occasione per diventare un partito e smettere di essere una barzelletta.

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