Pierre Lemaitre è un maestro
assoluto e “Lavoro a mano armata” è uno dei noir più belli che ho letto. Il
tema di fondo è il lavoro: necessario, importante, fondamentale, la vera
ragione di vita di ogni essere umano, tanto che quando non c’è più, per tutta
una serie di ragioni, nel caso specifico per una ristrutturazione aziendale,
anche un uomo come Alain Delambre - colto, sensibile e integerrimo – è disposto
ad armarsi per riconquistare quella dimensione personale e sociale che solo il
posto fisso sembra dare. La cosa straordinaria di questo romanzo è che cambia
registro almeno 4 volte e la storia prende forma su altri percorsi. Alain
Delambre ha cinquantasette anni, una moglie e due figlie ormai adulte. Una vita
passata a lavorare come responsabile delle risorse umane. Poi la crisi, il
licenziamento, la disoccupazione. Si adatta per un po’ a quello che gli viene
proposto dall’ufficio collocamento, scivolando però sempre di più nella
depressione. Poi, inaspettata, la seconda chance, quella che può ridare un
senso a tutto. Per essere assunto Alain deve
superare un test. Deve partecipare da osservatore ad un gioco di ruolo:
un finto sequestro di persona, organizzato per mettere alla prova i quadri di
una grande azienda. Un’assurdità? Forse. Sua moglie infatti non è d’accordo, ma
il signor Delambre non vuole diventare l'ennesima vittima della crisi, vuole
lavorare e il lavoro è pronto a prenderselo, se necessario, anche a mano
armata. Non rivelo ovviamente il finale. Dico solo che Alain Delambre da
osservatore diventa sequestratore vero dei partecipanti al gioco, che viene
fermato e arrestato. E che a quel punto inizia un’altra storia. Quella vera.
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