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venerdì 25 febbraio 2011

Massimo Gramellini

Provo grande ammirazione per chi è capace di analizzare e commentare un fatto in poche righe e senza tralasciare nulla. Leggi ed è come guardassi una fotografia: parole e immagine che si trasformano in personali ipertesti mentali. A ciò, nel caso in questione, si deve aggiungere il piacere e il gusto della scrittura, che si percepisce dalla scelta non casuale dei vocaboli e dei toni, dall'equilibrio trr ironia, malinconia e disincanto. Leggere Massimo Gramellini riconcilia con la professione.


Ipocriti e cumenda

Da che mondo è mondo coi dittatori ci si indigna in pubblico e si fanno affari in privato. A volte non ci si indigna neppure: si rimane zitti. Un silenzio interrotto solo dal fruscio dei soldi. Mai visto un politico o un imprenditore andare in Cina inalberando cartelli per il rispetto dei diritti civili. Si diventa esportatori della democrazia solo quando conviene, come in Iraq o in Afghanistan. Però esiste un limite che gli statisti cercano di non valicare ed è il rispetto di sé e del Paese che si rappresenta. Quel senso del decoro e delle istituzioni che ti impone di stringere la mano a Gheddafi, ma ti impedisce di baciargliela. Che ti costringe a riceverlo con tutti gli onori, ma non ti obbliga a trasformare la sua visita in una pagliacciata invereconda, con il dittatore a vita che tiene lezioni di democrazia all’università e pianta la sua tenda beduina in un parco storico della Capitale per ricevervi una delegazione di ragazze prese a nolo.

Berlusconi non ha fatto che applicare alle relazioni internazionali le tecniche di adulazione con cui i vecchi cumenda lombardi stordivano il cliente da intortare. Disposti a tutto pur di compiacerlo, considerando la dignità non tanto un accessorio quanto un ostacolo alla conclusione di un affare. Qualche lettore penserà: il cumenda di Stato è solo meno ipocrita degli altri. Verissimo. Ma a me sta venendo il dubbio che l’antica ipocrisia «borghese», contro cui da ragazzo mi scagliai anch’io, fosse preferibile all’attuale sguaiataggine.

giovedì 24 febbraio 2011

Giustizia

Il Giornale, diretto da Lurch Sallusti ed edito dalla famiglia Piselloni (copyright Luca Bottura), ha un inserto giustizia. E’ vero, non è una battuta. Anche se il Giornale che parla di giustizia è un po’ come: annamaria franzoni che fa la pediatra o apre una scuola materna; il figlio di gheddafi che gioca in serie A; un leghista che riesce almeno per un’ora al giorno a non pronunciare la parola fe-de-ra-li-smo a rutti; berlusconi presidente del consiglio che bacia le mani al leader libico; un maestro di sci alla Farnesina;  michela vittoria brambilla ministro; d’alema che fa visita alla tendopoli romana di muammar dopo che questi ha appena sgarbato il presidente della camera non presentandosi ad un incontro ufficiale, per poi riferire, urbi et orbi, dell’indisposizione del pittoresco dittatore africano, quando tutti sapevano che era a fare shopping di banche italiane; berlusconi che si fa processare; far giocare thierry henry, uno dei più grandi centravanti del mondo, esterno basso per un anno e mezzo e alla fine svenderlo come l’ultimo dei brocchi; renato brunetta prima scelta dei Los Angeles Lakers; il direttore generale della Rai che telefona preventivamente ad una trasmissione del servizio pubblico per dissociarsi per quello che forse verrà detto;  valentino parlato direttore di Libero; michele misseri eletto zio dell'anno; giovanardi che si fa una canna; rocca di rostro che mi sente quattro quarti; i plastici di bruno vespa distrutti da un incendio doloso; i Ris che incastrano l'autore di un omicidio; un brianzolo basso e ossessionato dalla calvizie, molto somigliante al jolly della carte e agli omini del calcio balilla, che mette su un impero immobiliare non si sa bene con quali soldi, poi un impero televisivo, poi un partito politico, e infine diventa presidente del consiglio; berlusconi presidente della Repubblica.

PS. Molte di queste cose, quelle apparentemente più paradossali, sono purtroppo vere.

venerdì 18 febbraio 2011

Io sto con Rosy

Per tutta una serie di ragioni – competenza, capacità, statura politica, e mettiamoci pure la Nemesi di cui parlava ieri Filippo Ceccarelli – Rosi Bindi sarebbe la candidata premier ideale sia del centro sinistra, sia di una grande coalizione: non è mai stata comunista, e in questo paese pare essere un titolo di merito, è cattolica, pur non essendo genuflessa, e questo va a suo merito. L’investitura per ora le è arrivata solo da Nichi Vendola in una bella intervista nella quale il governatore della Puglia risponde, in perfetto stile vendoliano, alla stupidità men che infantile di certa stampa. Lei, per dovere, ha ringraziato ma si è rimessa  alle decisioni del partito. Il quale partito, invece di fare sponda, appoggiare, applaudire ad un riconoscimento di leadership a sinistra da chi le eventuali primarie le vincerebbe probabilmente a mani basse, per voce di tutte le sue troppe anime ha sollevato una serie di distinguo: dalla necessità di una decisione collegiale, fino ad arrivare alla lettura dietrologica di una operazione studiata da Vendola per destabilizzare il pd, una sorta di ingerenza di campo per alzare un polverone. Per dirla in francese, le solite elucubrazioni masturbatorie di chi non ha ancora capito che siamo ai titoli di coda e che parte di responsabilità, se non la maggiore, di questi 15 anni di follia berlusconiana è proprio loro. Sarebbe bastata a suo tempo una legge sul conflitto di interesse e addio cavaliere. Per questo ha ragione Michele Serra. Anche se “sarà la più giusta delle sentenze a  fermare l' avventura di Silvio Berlusconi, la politica ne uscirà comunque sconfitta. E ne usciremo sconfitti noi italiani, quelli che gli hanno creduto per fede o per calcolo, quelli come noi che in vent' anni non sono stati capaci di smontare il potere delirante di un uomo solo. Il breve interludio di Prodi, la cui civile normalità viene ora rimpianta anche alla luce della madornale smodatezza del suo predecessore e successore, non vale a sanare un bilancio disastroso. Non è questione di destra e sinistra. È questione di una misura smarrita, di un' intelligenza collettiva disattivata. Non mi sento, in questo senso, meno sconfitto e meno smarrito dell' ultimo dei suoi adulatori. Guardo lo stesso incidente dalla parte opposta della strada”.

martedì 8 febbraio 2011

Lega solidale, la negra non mangia

Ammettiamo pure la cattiveria come possibile espressione dell’animo umano. Espressione sempre consapevole peraltro, quando passa dalla potenza all’atto: quelli che non volevo, non sapevo, dicono balle. E’ cattiveria, per esempio, istituire la giornata degli stati vegetativi il giorno dell'anniversario della morte di Eluana Englaro, anche se in questo caso sarebbe meglio parlare di vuoti di pensiero, che non sono nemmeno più cattiveria, ma patetiche manifestazioni di supremazia di un potere meschino e ancillare e proprio per questo violento. E’ cattiveria non vedere o non occuparsi della marginalità, se non quando si è costretti, tirati per la giacca, da tragedie annunciate. Potremmo andare avanti all’infinito. La domanda è: c’è un limite alla cattiveria? Un limite non tanto imposto dalle leggi quanto da quella vergogna interiore che abbiamo tutti e che ci consente di non deragliare dall’appartenenza al genere umano? Leggendo la storia raccontata da Luca Telese sul Fatto Quotidiano inizio ad avere qualche dubbio. In sintesi: c’è una famiglia di immigrati africani, molto dignitosa, che si trova improvvisamente in difficoltà perché il capofamiglia perde il lavoro. L’uomo è di quelli tosti: non si balocca nell’indigenza, rifà le valige e parte per il Belgio. La moglie e i 5 figli rimangono invece in Italia, a Fossalta di Piave, dove la bimba più piccola frequenta la scuola materna a tempo pieno. Quando mancano i soldi, anche i 50 euro della retta possono però essere un problema, e se i servizi sociali a cui ti rivolgi ti rispondono picche, c’è poco da fare. Speri solo nel buon cuore delle persone. E grazie a dio di persone di buon cuore ce ne sono anche a Fossalta. Le 5 maestre per esempio, che decidono di rinunciare a turno ad un pranzo per passarlo alla bimba. Bello, no? Bellissimo. Troppo. Come nelle favole vere, c’è sempre un lupo in agguato e in questo caso il lupo veste i panni del sindaco leghista che dice che no, che quella bambina deve tornarsene a casa sua a mangiare e che le maestre come si permettono di donare il loro pasto al primo venuto? Dirigente scolastico, intervenga, perdio. E la dirigente non solo si adegua, che già sarebbe grave, ma sottoscrive. Le lacrime della bambina separata dai compagni all’ora di colazione sono fortunatamente più forti della povertà umana di questi burocrati di merda e i soldi della retta arrivano da un anonimo benefattore. Per il tetto non c’è problema. La famiglia abita un appartamento di proprietà di un ex consigliere comunale del pci che, pur vivendo con una pensione di mille euro, rinuncia ai 300 dell’affitto, perché piuttosto vado fuori casa io che 5 creature. Scriveva Alda Merini:


La verità è sempre quella,
la cattiveria degli uomini
che ti abbassa
e ti costruisce un santuario di odio
dietro la porta socchiusa.
Ma l’amore della povera gente
brilla più di una qualsiasi filosofia.
Un povero ti dà tutto
e non ti rinfaccia mai la tua vigliaccheria

sabato 5 febbraio 2011

hARrdCORE?, No grazie

Nell’intervento di oggi del prof. Gustavo Zagrebelski alla manifestazione di Libertà e Giustizia ci sono dei passaggi fondamentali che vale la pena ricordare.

(…) La domanda non è se piace o no lo stile di vita di una persona ricca e potente che passa le sue notti come sappiamo. Questa potrebbe essere una domanda che mette in campo categorie morali. La domanda, molto semplicemente, è invece: ci piace o no essere governati da quella persona. E questa è una domanda politica. (…) Le notti di Arcore assurgono a simbolo facilmente riconoscibile, in versione postribolare, di una realtà più vasta che ci riguarda tutti. È un simbolo che ci mostra in sintesi i caratteri ripugnanti di un certo modo di concepire i rapporti tra le persone, nello scambio tra chi può dare e chi può ottenere. È lo stesso modo che impera e nelle stanze d'una certa villa privata e in certi palazzi del potere. Questo, credo, è ciò che preoccupa da un lato, indigna dall'altro.

Non troviamo forse qui (nella villa) e là (nel Paese), gli stessi ingredienti? Innanzitutto, un'enorme disponibilità discrezionale di mezzi - danaro e posti - per cambiare l'esistenza degli altri attraverso l'elargizione di favori: qui, buste paga in nero, bigiotteria, promozioni in impensabili ruoli politici distribuiti come se fossero proprietà privata; là, finanziamenti, commesse, protezioni, carriere nelle istituzioni costituzionali (la legge elettorale attuale sembra fatta apposta per questo), nell'amministrazione pubblica, nelle aziende controllate. Dall'altra parte, troviamo la disponibilità a offrire se stessi, sapendo che la mano che offre può in qualunque momento ritrarsi o colpirti se vieni meno ai patti. Cambia la materia che sei disposto a dare in riconoscenza al potente: qui, corpi e sesso; là, voti, delibere, pressioni, corruzione. Ma il meccanismo è lo stesso: benefici e protezione in cambio di prove di sottomissione e fedeltà, cioè di prostituzione. Ed è un meccanismo omnipervasivo che supera la distinzione tra pubblico e privato, perché funziona ogni volta che hai qualcosa da offrire che piaccia a chi ha i mezzi per acquisirlo.

(…) Non chiediamo nulla per noi ma tutto per tutti. Il "tutto per tutti" è lo stato di diritto e l'uguaglianza di fronte alla legge; il rispetto delle istituzioni e della dignità delle persone, soprattutto quelle più esposte ai soprusi dei prepotenti: le donne, i lavoratori a rischio del posto di lavoro, gli immigrati che noi bolliamo come "clandestini"; la disciplina e l'onore di chi ricopre cariche di governo; l'autonomia della politica dall'ipoteca del denaro e dell'interesse privato nell'uso dei poteri pubblici; l'indipendenza dei poteri di garanzia e controllo; l'equità sociale; la liberazione dall'oppressione delle clientele. Un elenco penoso di doglianze e un vastissimo programma di ricostruzione che è precisamente ciò che sta scritto a chiare lettere e per esteso nella Costituzione: la Costituzione che per questa ragione è diventata segno di divisione tra opposte concezioni della politica.

venerdì 4 febbraio 2011

Don Tovarish

Un tempo la domenica si usava diffondere l’Unità porta a porta. All'epoca ero troppo piccolo, però mi ricordo, perché mio padre e alcuni miei parenti l’hanno fatto per anni. Con poca fortuna a dir la verità, malgrado vivessimo in un paese operaio e nemmeno troppo bigotto, ma che comunque usava il Riverisco quando incontrava il vecchio don Melotti  (che io da bambino pensavo fosse il suo cognome per intero, dommelotti, fuorviato dalla difficoltà delle vecchie plaudenti a pronunciare la n e la m slegate) e seguiva le sue direttive votando compatto democrazia cristiana. Le copie vendute all’ora della messa erano davvero poche. Del resto le famiglie dichiaratamente comuniste si contavano su una mano. E non servivano nemmeno tutte le dita. Anche se poi nel segreto dell’urna il pci raccoglieva oltre 200 voti, con grande disappunto di don Melotti, che scrutava i fedeli per capire chi potesse aver tradito, visto che i tovarish conosciuti erano più o meno una trentina. L’interrogativo che toglieva il sonno al parroco, per noi in famiglia era meglio di un telequiz di Mike, e senza l'assillo della risposta esatta. Per questo credo che il mio povero papà, dal suo personale girone dei giocatori di bocce, dove mi piace immaginarlo, avrà sorriso leggendo del prete veneto che per parlare nell’omelia domenicale di etica e di costumi ha preso spunto dall’articolo di fondo del direttore dell’Unità. Anzi, per essere sicuro che i parrocchiani potessero riflettere meglio su quelle parole, ne ha fatto fotocopie da portare a casa. Caro babbo, l’avresti mai detto che un giorno il giornale fondato da Antonio Gramsci avrebbe dettato la linea anche a dommelotti?

mercoledì 2 febbraio 2011

Donne, mezze donne e youporn

Personalmente non amo molto i girotondi, il popolo dei fax, i gruppi di facebook: tutte quelle manifestazioni di indignazione a tempo, un po’ da oratorio, parapretesche, che producono soltanto un leggero fastidio al potere ma non determinano un cambio sostanziale delle cose, o perlomeno delle coscienze. Mi rendo conto però che non è più il tempo delle cellule di partito e delle scuole quadri e quindi qualsiasi forma di lotta (lotta?) va guardata con rispetto. Sull’indignazione delle donne al comportamento del premier, raccolta in foto e messaggi da Repubblica, condivido quanto ha scritto ieri Michela Murgia sullo stesso giornale:

(…) a chi dice che quello che si vede sui giornali da settimane a questa parte offende le donne, vorrei dire di no, che si sbaglia, che non è vero. Nessuna donna normale si riconosce nel grottesco fondale di cartapesta contro il quale si muove il caravanserraglio di veline che circonda Silvio Berlusconi. E' vero invece che quello che si è visto - cioè l'immagine di un preciso tipo di donna, avvenente secondo i canoni televisivi, venduta, offerta, comprata, mantenuta e zittita a suon di milioni - è prima di tutto una grottesca proiezione dell'uomo che la sogna. Vi si intravede un maschio che abita un universo femminile deforme, fatto di seni e labbra ipertrofiche e di travestimenti da gag in un immaginario colonizzato da You Porn. Se è vero che il signore di Arcore è metafora dell'Italia che ha governato per quasi vent'anni, allora quella che stiamo vedendo è la parabola a precipizio di un paese invecchiato male, senza più fantasia e ansioso di rassicurazione. Un paese che si specchia in un uomo che ha bisogno di vedere gli altri ridere per credere di essere divertente, e che sa che la sola lealtà che può aspettarsi sta dentro la misura di un bonifico. Uno così non può offendere le donne che siamo e che vogliamo essere. Al massimo può volgere al femminile la triste caricatura di sé stesso.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/02/01/se-universo-femminile-si-ribella-su-facebook.html

Dillo a Frattini

Le cose sono andate più o meno così. Nel pieno della vicenda Cesare Battisti, l’Italia, tramite il ministro degli esteri Frattini, chiede all’Unione Europea di prendere posizione a favore dell’estradizione dell’ex militante dei proletari armati per il comunismo, stante il rifiuto delle autorità brasiliane, paese dove Battisti, oggi scrittore di noir di successo, si è rifugiato. La risposta della responsabile della politica estera dell’UE, la britannica Catherine Asthon, è un gentile diniego: Bruxelles ritiene che la vicenda sia confinata ai rapporti bilaterali Roma Brasilia. Passano poche settimane e il nostro, anche lui impegnato in prima persona – off label - a risolvere un giallo immobiliare che tanto angustia il suo datore di lavoro, trova il tempo di chiedere di nuovo all’UE pubblica indignazione per l’attentato suicida contro i cristiani copti di Alessandria d’Egitto e, in generale, per  tutti gli episodi di violenza che hanno colpito le comunità cristiane in Medio Oriente. Iniziativa lodevole in sé, ma che in questo momento storico pare mirare più che altro ad ingraziarsi le sante tonache, indispettite e irritate dalle marachelle del capo di cui sopra. La diplomazia europea prepara una bozza di comunicato in cui si parla genericamente di condanna delle violenze, senza citare in modo specifico i cristiani. Frattini prova allora a forzare la mano con un emendamento che modifichi in senso cristiano la condanna. Per farlo serve però l’unanimità dei consensi. Invece,  all’ultimo, Spagna, Portogallo, Lussemburgo e Irlanda – paesi canaglia - si sfilano e a quel punto, vaffanculo anche la condanna. Frattini chiede il ritiro del documento. Catherine  Asthon non fa una piega. Tasto canc e file nel cestino.