Non sempre quello che si vede è quello che si vede.
A volte è solo apparenza di una verità costruita ad arte. Ci sono due testimoni
attendibili che all’alba vedono gettare dagli scogli una valigia trasportata a
mano con grande difficoltà. C’è subito appresso una telefonata anonima che
denuncia alla polizia un possibile omicidio in una villetta a mare. C’è del
sangue in quella casa che corrisponde al sangue trovato nella valigia e
soprattutto c’è la ragazza che aveva affittato quella casa che non si trova
più: una giovane avvocato occupata del principale studio della città. E guarda
caso nella valigia c’è il suo iphone, dal quale la scientifica riesce a
recuperare tutto il contenuto: chat, messaggi vocali, immagini e quant’altro
sufficienti a chiudere in faccia le porte del carcere, per non aprirle mai più,
al titolare dello studio, un notabile in odore di mafia. L’unica cosa che manca
è il cadavere, che rimane sullo sfondo, più che in fondo al mare. E questo in
un’indagine di omicidio non è indifferente. Troppo semplice comunque, troppo
facile per Vanina Guarrasi, vicequestore della Mobile di Catania. Nonostante
sia convinta che il grande avvocato mammasantissima la galera la meriterebbe a
prescindere, per un’accusa così grave ci vogliono dei riscontri più solidi. E
in effetti le cose sono molto più complicate di quanto qualcuno vuol far
credere. Anche per questo caso sarà determinante l’appoggio dell’ottuagenario
commissario in pensione Biagio Patanè, che già in Sabbia Nera aveva riportato
alla luce una storia antica nella quale c’erano i prodromi dell’indagine in vetrina.
La verità verrà ricostruita poco alla volta grazie alle intuizioni della
Guarrasi e non sarà la verità dell’apparenza. Ecco, io sono ufficialmente
innamorato di Vanina Guarrasi e la colpa è di Max di Domenico che conoscendo la
mia passione per la Sicilia me l’ha fatta conoscere. Per gli amanti del genere,
“La logica della lampara” di Cristina Cassar Scalia è da leggere.
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