Mio nonno aveva in casa il ritratto di Stalin appeso alla
parete. Ognuno ha gli eroi che crede. E i nonni che si merita. Classe 1909,
partigiano, comunista, detto Sacramento, che era uno dei suoi modi di
intercalare, era iscritto al partito praticamente dalla sua fondazione. Del
resto se inizi a lavorare a 8 anni quando ne hai 12-13 hai già capito come gira
il mondo. Mi ricordo che, superati i 70, iniziò a ricevere l’Unità
gratuitamente, credo un giorno alla settimana, proprio per la fedeltà di
iscrizione. Negli anni 50-60, mi raccontava mio padre, la casa del
nonno era un punto di riferimento per i dirigenti provinciali del PCI che
salivano in Valcamonica per uno sciopero, un comizio, a sostenere un’occupazione
o una protesta. La nostra era una delle poche famiglie comuniste conosciute e
riconosciute come tali in paese e questa diversità, anche se non ci capivo nulla,
da bambino mi inorgogliva. Partecipare attivamente all’organizzazione delle
feste dell’Unità, distribuire il giornale la domenica nelle case, sentire nelle
assemblee i presenti chiamarsi tra di loro compagni era emozionante. Alessandro
Natta un giorno disse: “Cercate, cercate, ma un nome bello come Partito
Comunista non lo troverete mai”. Aveva ragione. Mio nonno era talmente convinto
dei suoi ideali che non era concepibile che qualcuno della sua famiglia la
pensasse diversamente. I comunisti sanno essere più manichei e intransigenti
degli intransigenti e manichei se ci si mettono. Tanto che quando mia cugina,
ad una tornata politica votò MSI, non per vera e propria convinzione ma per
spirito ribelle,
lui, il nonno, le tolse il saluto. Non durò molto,ma non fu semplice nemmeno per lei riconquistare quel saluto. E
comunque per il nonno quell’affronto rimase un cruccio e ogni tanto lo
ricordava, scuotendo il testone bianco mentre la duecentesima sigaretta della
giornata gli fumava tra le labbra. Il nonno identificava le persone con il loro
credo politico: “l’è un democristiano”,
è un democristiano, diceva di qualcuno a commento di una qualsiasi azione o
decisione del democristiano in questione. E l’aggettivazione, nel suo
vocabolario, aveva non solo nel caso specifico, ma direi in generale, un’accezione
negativa. Un po’ più morbido era il giudizio per i socialisti. Meno per i
socialdemocratici o i repubblicani. L’è del mis (MSI) lo diceva
accompagnandolo al movimento di chiudere a pungo quelle mani enormi che avevano
fatto lavori di ogni genere. Logicamente la svolta della Bolognina per lui fu
un’amputazione, che gli fece più male del rene tolto alcuni anni prima. Non l’ho
mai sentito pronunciare il nome PDS. Nonno cosa voti? Gli chiesi qualche tempo
dopo. Mi guardò con quei suoi occhi azzurrissimi come se avessi detto chissà
quale eresia. I comunisti, mi rispose. Sì ma chi? Anch’io se mi ci metto sono
un rompicoglioni. I comunisti, ripeté di nuovo e chiuse il discorso. Votò
Rifondazione, per capirci.
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venerdì 10 novembre 2017
martedì 17 ottobre 2017
Volevo essere Pietro Anastasi

venerdì 13 ottobre 2017
La bicicletta
Avrei voluto scrivere d’altro e
sicuramente lo farò, ma ieri ho assistito ad una scena che mi ha creato
profondo disagio e ripensandoci a freddo ho capito perché. Anzi, lo sapevo
benissimo ma pensavo di averci lavorato su abbastanza. Evidentemente no. Come
ogni mattina stavo aspettando il Frecciarossa per andare al lavoro e mi ero
posizionato all’altezza del display che indicava il numero della carrozza prenotata.
Alle mie spalle, in attesa di partire, un convoglio di una tratta provinciale. Ai
piedi del treno, il controllore e il capotreno, una lei nel caso specifico, ma
non credo che si dica capatreno, chiacchieravano tra loro verificando a turno
i biglietti di chi si apprestava a salire. Arriva un ragazzo in bicicletta. Che
sia di colore dovrebbe essere un fatto assolutamente irrilevante, invece per i
due, non solo lo è ma nella sua accezione peggiore: l’è un negher. Io mi giro
proprio nel momento in cui lei chiede al ragazzo se ha pagato il biglietto per
la bicicletta. E’ una domanda retorica la sua: lo sa già che non l’ha fatto e
glielo leggi anche dall’atteggiamento corporeo di sfida, dall’espressione
soddisfatta del viso di chi sa di esercitare un potere per il quale l’intransigenza
non solo è consentita ma è premiata. Un potere meschino peraltro, tanto da rivolgersi
al ragazzo in dialetto bloccando sul nascere il minimo accenno di protesta. Io
non so se l’importo per la bicicletta fosse dovuto, come non so se quel cristiano,
come mi è sembrato di capire, prenda abitualmente quel treno per andare al
lavoro e abbia trovato fino a ieri controllori più accondiscendenti. Come non
voglio sapere se al posto del negher ci fosse stato un indigeno quale sarebbe
stato il comportamento della signora: probabilmente la soddisfazione di decidere del destino di
un pendolare, circoscritto fortunatamente a quella strada ferrata, non le avrebbe fatto cambiare nulla nella sostanza, sicuramente però con un altro atteggiamento, meno
volgare e violento. Alla fine la cosa si è risolta al meglio, nel senso che da
uno scompartimento si è affacciato un amico del ciclista e gli ha passato un
biglietto: con il treno in partenza non sarebbe riuscito a tornare in
biglietteria. Il mio disagio. Purtroppo in casi di questo genere non è solo,
diciamo così, di ordine etico: il rifiuto viscerale di un sopruso nei confronti
di un debole che procura piacere a chi lo infligge. Uno normalmente cosa fa? Interviene
e, per quanto possibile, prende le difese, parla, argomenta, discute. Io in casi del genere ho
istinti violenti. E non solo verbali. Devo impormi di andare via. E mi costa
tantissimo farlo.
venerdì 6 ottobre 2017
Imperfetti
(...) La legge impedisce ai single di adottare, a meno che il bambino non sia
affetto da grave disabilità. È un’eccezione saggia, ma con un
presupposto terribile: se il bambino è imperfetto, va bene anche la
famiglia imperfetta (...)
http://www.lastampa.it/2017/10/05/cultura/opinioni/buongiorno/lamore-perfetto-ZuVGBL8wwuEOR6PWC895qM/pagina.html
http://www.lastampa.it/2017/10/05/cultura/opinioni/buongiorno/lamore-perfetto-ZuVGBL8wwuEOR6PWC895qM/pagina.html
mercoledì 27 settembre 2017
Ius soli
Un ottimo Mattia Feltri, come sempre.
(...) Nel 1981, François Mitterrand si candidò alle Presidenziali promettendo l’abolizione della pena di morte e nonostante sessantadue francesi su cento fossero sostenitori del patibolo. Mitterrand tirò dritto, vinse, rimase all’Eliseo quattordici anni e oggi la maggioranza dei francesi la pensa come lui nell’81 (...).
(...) Sembrerà strano, ma fra un’idea e una poltrona, lo statista sceglie l’idea.
http://www.lastampa.it/2017/09/26/cultura/opinioni/buongiorno/statisti-e-tronisti-OoqC8nyQSORnyKKOosm2bM/amphtml/pagina.amp.html
(...) Nel 1981, François Mitterrand si candidò alle Presidenziali promettendo l’abolizione della pena di morte e nonostante sessantadue francesi su cento fossero sostenitori del patibolo. Mitterrand tirò dritto, vinse, rimase all’Eliseo quattordici anni e oggi la maggioranza dei francesi la pensa come lui nell’81 (...).
(...) Sembrerà strano, ma fra un’idea e una poltrona, lo statista sceglie l’idea.
http://www.lastampa.it/2017/09/26/cultura/opinioni/buongiorno/statisti-e-tronisti-OoqC8nyQSORnyKKOosm2bM/amphtml/pagina.amp.html
lunedì 25 settembre 2017
Giornalismo
“Il giornalismo è l’atto di dare alle stampe ciò che qualcun altro non
vorrebbe mai veder pubblicato. Tutto il resto sono pubbliche relazioni”. La
frase è attribuita a George Orwell, ma chiunque l’abbia detta, va bene. Anch’io
credo sia così. Anzi non può essere che così. L’ho letta ieri, sfogliando da
Feltrinelli il saggio “Gli impostori. Inchiesta sul potere”. L’autore, Emiliano
Fittipaldi, l’ha scelta come citazione all’inizio del libro insieme ad una
frase altrattanto significativa di Giuseppe D’Avanzo. “Un’inchiesta
giornalistica è la paziente fatica di portare alla luce i fatti, di mostrarli
nella loro forza incoercibile e nella loro durezza. Il buon giornalismo sa che
i fatti non sono mai al sicuro nella mani del potere e se ne fa custode nell’interesse
dell’opinione pubblica”.
venerdì 22 settembre 2017
Nicolina e le altre
All’inizio della mia carriera ho fatto
per molto tempo il cronista di nera. Diciamo che nei giornali locali fare la
nera è un po’ un passaggio obbligato, una sorta di esame di idoneità alla
professione. Il primo morto è il battesimo del sangue. Devi uscire senza porti
tante domande, sapendo che comunque non vedrai uno spettacolo edificante. Che
dovrai aprire occhi, orecchie e attivare tutti gli altri sensi per vedere,
carpire e annusare più informazioni possibili. Contemporaneamente, marcare
stretto i colleghi della concorrenza, perché non facciano cose che avresti
potuto fare tu, amare il fotografo che viene con te più della tua signora, imparare
a dettare a braccio – sperando in una cabina o un telefono pubblico vicini, allora
con c’erano i cellulari – o correre in redazione scrivendoti mentalmente il
pezzo perché sai già che dal minuto 2 da quando varcherai quella soglia,
dal direttore in giù inizieranno a chiederti quanto ti manca, senza magari averti
detto quanto spazio hai a disposizione. E questa è la parte migliore. O più
facile. C’è infatti una variabile, o per meglio dire una costante che, almeno
io, non avrei mai voluto fare. Parlare con la famiglia del morto. Tu e la tua
bella faccia, scortato dal fido fotografo, ti dovevi presentare alla porta di
persone appena travolte da uno tsunami di emozioni, personali, intime, private,
chiedendo di essere invitato a condividerle. Un elefante in una cristalleria. In
quei momenti sarei volentieri sprofondato, speravo meschinamente che ad aprire
fosse una donna, perché una sberla è sempre meglio di un pugno, o di un calcio.
Sapendo peraltro che avrebbero avuto ragione loro. Fortunatamente non mi è mai
successo nulla di grave, se non a volte dover portare a casa qualche mala
parola, anche questa del tutto legittima. Ricordo che una volta tornando
sconsolato, più per la vergogna che per l’umiliazione, dissi alla mia signora:
se mi dovesse succedere qualcosa tratta bene i giornalisti, non è colpa loro.
Certo a volte accadeva che nello spaesamento dovuto all’enormità dell’accaduto
qualcuno ti aprisse, ti facesse sedere e lasciasse scorrere le parole.
In quei casi, l’imbarazzo, se possibile, era ancora più grande: da un lato
sapevo che avrei avuto i complimenti di tutte le gerarchie editoriali e
l’ammirazione dei colleghi per una storia in esclusiva, dall’altro mi sembrava
di aggiungere violenza a violenza, riportando quelle confidenze che mai
sarebbero state fatte ad uno sconosciuto, se non in un momento di estraneazione
dalla realtà. Tutto questo per dire che sono d’accordo con quello che scrive
oggi Michele Serra sull’orrenda vicenda della ragazzina pugliese ammazzata
dall’ex compagno della madre. E’ un mondo senza pudore dove la morbosità del
male si è trasformata in popolarità, a favore di telecamera e di selfie.
“La popolarità del Male, rispetto alla
sua banalità, è uno stadio più avanzato in direzione della sua metabolizzazione
e, direbbe un pessimista, del suo trionfo. Il Male, nell'evo della
comunicazione globale e capillare, dei network e dei social, è una
dimestichezza da ostentare, è un linguaggio da padroneggiare. Nessuno arretri,
nessuno si faccia trovare impreparato o muto, atterrito o vinto, di fronte al
Male. Gli faranno un selfie, molto presto, al Male, posando accanto a lui come
accanto a Messi o a Lady Gaga.
La sfortunata madre della povera ragazza
Nicolina ha concesso una lunga e quasi ciarliera intervista a una trasmissione
Mediaset del mattino mentre la figlia agonizzava in ospedale, colpita in faccia
(in faccia!), mentre andava a scuola, dalle pistolettate di un ex fidanzato di
mamma, uno dei tanti ributtanti maschi omicidi (e poi suicidi) che non
tollerando di essere lasciati da una femmina soffocano l'onta nel sangue.
Non si pretendono, dalla gente semplice,
i toni della tragedia greca. Ma la gente semplice, fino a non tanti anni fa,
sapeva ammutolire. Chiamatelo pudore, dignità, vergogna, chiamatelo come
preferite, ma quando la voce del dolore rimaneva chiusa nelle stanze dei
disperati, il Male non mieteva un successo così corale, e non trovava
inserzionisti pubblicitari, già al mattino presto, disposti a cavalcarlo".
lunedì 18 settembre 2017
L'ansioso da treno
C’era anche
questa mattina. C’è sempre del resto. E’ l’ansioso da treno, tipologia di
viaggiatore da temere ed evitare. Lo si riconosce perché inizia ad agitarsi
almeno un quarto d’ora prima della stazione di destinazione. Raduna le sue
cose, rovesciando, urtando, pestando tutto quello che rientra nel suo campo
visivo. E’ dotato di una serie infinita di formule di scuse, direttamente
proporzionale al rosario di bestemmie che, tu, pendolare non per scelta, gli
rovesceresti addosso se non fossi ormai immunizzato da anni di terapia sul
campo. Ma l’apoteosi l’ansioso da treno la raggiunge dopo aver terremotato
l’intera carrozza ed essere riuscito a mettersi in marcia verso le porte.
Immancabilmente – ma sono una setta? Si sono una setta – si piazza esattamente
in mezzo al locale di disbrigo, perché logicamente non sa quale delle due porte
sarà quella eletta per la discesa. Nel frattempo - un quarto d’ora prima della
meta, ricordo – non solo fa inutile massa ma impedisce il passaggio da una
carrozza all’altra. Una volta finalmente battezzato il lato di discesa
l’ansioso da treno può differenziarsi in queste ulteriori categorie kantiane:
c’è l’ossessivo compulsivo che schiaccia a bibone tutti i tasti che trova a
ridosso dell’uscita, fosse anche il tasto fire; c’è l’ottimista, quello che
aspetta che la porta si apra magicamente da sola, per poi realizzare che non
succede, farsi prendere dal panico e tentare di aprirla a spinta; c’è quello
che preme il tasto close e commenta saputo: queste porte non si aprono
mai; no sei tu che sei un coglione emerito: le porte non sono dotate di
volontà propria: si aprono sempre, certo devi aspettare quei due secondi che si
accenda la luce verde di sblocco e pigiare open. Open, non close. E’ semplice.
La morale qual è. Se non sei capace, lascia fare. Ad ogni stazione c’è sempre
qualcuno che scende, certo non si prepara mezzora prima ma c’è. Il segreto è
aspettare, ascoltare le indicazioni dello speaker – meglio già sul binario -
lasciare spazio, guardare come funziona il tutto e farne tesoro. Non serve
nemmeno prendere appunti.
venerdì 25 agosto 2017
martedì 1 agosto 2017
In cammino
Lo sapevate voi che la felicità famigliare è basata sulla Bibbia? Me l'ha detto stamattina un tizio con cravatta e bretelle mentre andavo in stazione. L'ho segnato subito sulle note dell'iphone e condiviso via whatsapp con gli amici più intimi perchè mi è sembrato importante. Poche centinaia di metri più avanti, il dispensatore sano di torri di guardia e titolare dell'ingresso della stazione, cambiando improvvisamente formula dopo anni di: la vuole leggere lei, mi ha chiesto: l'ha vista lei? No, stanotte no. Non so se ha capito. Col senno di poi sarebbe meglio di no. Non mi piace essere e risultare volgare ma a volte, ragazzi.....
venerdì 23 giugno 2017
Il tempo, i ricordi
Mio padre era comunista e non andava in Chiesa. Non posso
però dire che fosse ateo: probabilmente credeva in un dio, perché così gli avevano
insegnato da bambino. Questo non gli
impediva però di avere profondo rispetto per le opinioni di chiunque e di
meritare a sua volta il rispetto di tutti. L’hospice in cui venne trasferito
era una struttura religiosa e due volte al giorno trasmetteva la funzione in
filodiffusione. Ricordo che la suora che ci accolse spiegò, devo dire con
grande tatto, le regole della casa e informò papà degli orari della messa e
della possibilità di seguirla anche dal letto attraverso la radio. Lei si senta
comunque libero: eventualmente basta schiacciare
questo pulsante. Io rimasi in disparte e non dissi
nulla. Quel pomeriggio, quando il prete iniziò il rito, stavamo parlando. Papà
mi guardò negli occhi per qualche secondo, poi distolse lo sguardo e si zittì.
La radio rimase accesa e insieme ascoltammo la parola del Signore.
Papà aveva deciso di ascoltare la messa ed io non solo ho
rispettato in silenzio la sua volontà, ma mi ha fatto piacere condividere con
lui quella dimensione. In un altro momento l’avrei bonariamente preso in giro,
anche da malato. Invece in quella stanza, per quella mezzora, ho vissuto un momento
di intimità con mio padre talmente intenso, che qualsiasi commento sarebbe
stato fuori luogo. Non abbiamo mai affrontato l’argomento. Per pudore, credo.
Quando era sveglio seguiva quasi sempre la funzione. A volte vedevo che
pregava. I giorni in
cui la morfina lo faceva dormire lasciavo comunque la radio accesa. Ascoltavo
io per lui. Un pomeriggio sono arrivato all’hospice un po’ in ritardo. Di
solito mi annunciavo dal corridoio, o appena sulla soglia, con una battuta, un coro da stadio, qualsiasi cosa
pensavo potesse portare il buon umore in quella stanza. Quel giorno ricordo che
non dissi nulla. Ho visto mio padre, che non aveva quasi più forza nelle
braccia, farsi il segno della croce. Son tornato sui miei passi, senza farmi sentire. Ho aspettato cinque minuti, ho respirato a fondo e poi sono entrato in stanza,
come facevo sempre.
Oggi mio papà avrebbe compiuto 83 anni.
sabato 10 giugno 2017
Non si arresta Zorro
Nooo. Cuccureddu agli arresti domiciliari. Antonello
Cuccureddu. Una delle mie figu preferite. Ma non esiste. Non mi interessa
nemmeno cosa ha fatto. Un reato del cazzo, peraltro. Ma comunque non è questo. E’
l’enormità della cosa. A parte che se uno si chiama Cuccureddu devi solo
ammirarlo. Senti come suona bene Cu-ccu-re-ddu. Come fai? Bussi alla porta
di casa sua e dici: E’ lei il signor Antonello Cuccureddu?. Anzi no. Chi ha
bussato stamattina avrà senz’altro detto: è lei Cuccureddu Antonello? Ancora
meglio, perché ha risparmiato tempo. Appena
pronunciato quel nome, Cuccureddu, una persona normale, anche un carabiniere,
per dire, non avrebbe potuto continuare. Soprattutto non avrebbe potuto dire:
lei è in arresto. Hai davanti Antonello Cuccureddu. Ti rendi conto? Antonello
Cu-ccu-re-ddu. Quello di Zoff. Cuccureddu, Cabrini, Bonini, Gentile, Scirea….Un
pezzo di storia della Juve e della Nazionale. Ha vinto 6 scudetti (vado a
memoria). Ha segnato il gol decisivo per quello del ’73 grazie al quale la Juve
ha scavalcato il Milan all’ultima giornata. Cosa vuoi di più dalla vita? Forse
sorpassare l’Inter, con un rigore inesistente al 95° o un gol in fuorigioco di
2 metri. Ma non si può avere tutto dalla vita. In ogni caso, già questo, a te, carabiniere, avrebbe dovuto farti pentire
di essere lì e di essere nato. Si va ad arrestare Zorro? No che no si arresta
Zorro. E soprattutto non si stacca così una figurina dall’album Panini.
Antonello Cuccureddu arrestato. Ma dai... Vergogna. Io sto con Cuccureddu.
lunedì 22 maggio 2017
Uomini
L'avevo già visto altre volte in stazione. Un omino vestito dignitosamente, un po' in disparte rispetto agli altri disperati che di solito condividono le loro solitudini. Ricordo che gli avevo anche offerto un panino. Son due giorni che non mangio. E io a chi mi dice che ha fame non so resistere. È la mia debolezza. Stamattina ero intento a scrivere un messaggio in attesa del treno e mi sono accorto della sua presenza solo nel momento in cui mi ha detto buongiorno. Buongiorno. Posso? Certo. Non è che potrebbe pagarmi un panino, non mangio da ieri. Quegli occhi tristi me li ricordavo. Stavolta a colpirmi è stata la bontà di quegli occhi. Gli ho dato le monete che avevo in tasca, sufficienti per il panino. Ha sorriso. Mi ha chiesto dove andavo di bello. A Milano. Beh allora non va molto lontano. Vado per lavoro, ho sorriso a mia volta. Io il lavoro non ce l'ho. Sono uscito dal carcere, nessuno mi da più una mano. Ma vado avanti. Cosa vuole che faccia? Di sicuro non rubo. In carcere non ci voglio tornare. Chiedo un panino, sempre con gentilezza, come a lei. Sono rimasto ad ascoltarlo: non aveva un tono di rimprovero per come stava andando la sua vita. Aveva solo voglia di un contatto umano. Mi spiace solamente non poter aiutare le mie figlie. Sono all'Università, a Perugia. La più grande l'anno prossimo si laurea. È una bella soddisfazione, gli ho detto. Magari le sue figlie potranno aiutare lei presto. Dovrebbe essere il contrario. Però abbiamo un buon rapporto. Ci sentiamo. Le chiamo. Anche loro mi chiamano. Poi ha abbassato gli occhi. Coraggio. Grazie ancora, vado a mangiare il panino.
mercoledì 12 aprile 2017
Commentatori 3.0, dal bar alla rete
Mio fratello (non di sangue) questa mattina ha postato sulla
chat dei compagni di liceo il Buongiorno di Mattia Feltri dicendo: riflessione
interessante. Quindi ha aggiunto: non fatevi fuorviare dal cognome… ha preso tutto
dalla mamma. Sulla riflessione interessante concordo in pieno. Amaramente vera,
peraltro. In ogni caso lascio giudicare a voi
Gli
scambisti Leggi anche
Che due assistenti parlamentari dei Cinque Stelle si siano finti
giornalisti per intervistare il direttore del Tg1, Mario Orfeo, non è per nulla
stupefacente. Infatti è noto che i politici, non sapendo fare politica, provano
a fare i giornalisti, che è anche molto più semplice. E spiegano ai giornalisti
quali notizie debbano prevalere, quali siano state occultate, quali capisaldi
deontologici siano stati infranti. Ma i giornalisti, che non sono più tanto
bravi a fare i giornalisti, sono diventati bravissimi a fare i politici, e
spiegano alla politica che leggi bisognerebbe varare per sistemare i conti
pubblici, rendere le città sicure, fermare l’immigrazione e ripulire l’aria.
Alcuni giornalisti allora diventano politici e non sanno
assolutamente fare politica, ma a quel punto hanno doppia autorità sul
giornalismo. E in questo caos, chi fa i giornali? I magistrati, almeno quelli
non ancora entrati in politica, che più pragmatici non spiegano ai giornalisti
come si fanno i giornali, li fanno direttamente decidendo quali inchieste vanno
in pagina, con che risalto, con quali obiettivi. E così i giornalisti che non
hanno la passione per la politica si sono messi a fare i magistrati, e ogni
mattina si chiedono quale giunta possano sgominare, o quale ministro cogliere
con le mani nel sacco. Nel tempo libero, poi, siccome non le fa nessuno, i
magistrati fanno anche le leggi con le loro sentenze. Dunque i processi si
fanno sui giornali, le leggi si fanno in tribunale e le notizie le danno un po’
tutti, di modo che non funziona niente. Ma ci si diverte un sacco
Una delle mie perversioni è leggere online i commenti dei
lettori. Che si distinguono in diverse tipologie. Alcuni, di qualsiasi
argomento si tratti, ti piantano dei pipponi da darsi fuoco. Altri dicono la
loro, più o meno condivisibile: in ogni caso danno un contributo alla discussione. Altri ancora ci provano (a dire la loro,
intendo), senza infamia e senza lode. Poi ci sono quelli che scrivono
esattamente ciò che in quel preciso momento passa loro per la testa. Non c’entra
nulla? Non è pertinente? Chissenefrega. Intanto io l’ho detto. Mi sembra di
vederne anche la postura soddisfatta. Ai miei tempi questi tizi li trovavi al
bar. Oggi si sono trasferiti in rete. Come i due di seguito, che commentano
così l’articolo di Feltri.
lampokid
Hog a te grande capo. Albatros
stanco è felice nel leggere la tua e felicissimo per la tua Juventus (ma
ricordati che Kroujiolan non vede la finale, mi augoro di cuore che questa
volta si sbagli e prenda una cantonata) , Un caro bacio sulla fronte a
nuvoletta rosa, un abbraccio a te grande capo. Hog ho scritto!
Darkmind
Cassimatis …… è stato un errore
tuonò Grillo dal blog ..ops dal balcone di piazza Venezia. Inoltre
il padrone politico unico, riferimento culturale indiscusso, leader maximo ,
dopo aver proposto di ridimensionare i sindacati, pare che cambierà anche
il nome al Freccia rossa ……..si chiamerà Littorina rossa.
venerdì 10 marzo 2017
Libri letti nel 2016
Condivido, anche se un po' in ritardo, i titoli letti lo
scorso anno. Chi ha la bontà di seguirmi ritroverà i soliti autori, Camilleri,
la Gimenez Bartlet, Carlotto, Malvadi, Manzini, lo stesso Pulixi, che mostrano
chiaramente la mia passione per il noir. La scoperta di quest'anno - e confesso
preventivamente la vergogna per averlo fatto solo ora - non riguarda però il
genere giallo. Irène Némirovsky (Kiev, 11 febbraio 1903 – Auschwitz, 17 agosto
1942) è stata una scrittrice francese, ucraina di nascita, di religione ebraica,
convertitasi poi al cattolicesimo nel 1939. Arrestata dai nazisti, fu deportata nel luglio del 1942 ad Auschwitz, dove morì un mese più
tardi di tifo. Fortunatamente la sua produzione si è miracolosamente salvata e
nel 2005 Adelphi ha iniziato a pubblicare i manoscritti. L’intensità, la
profondità e la forza anche visiva della sua scrittura sono talmente coinvolgenti
da commuovere. Suite francese è un autentico capolavoro e andrebbe letto almeno
una volta nella vita.
Libri letti 2016
Gennaio
Gianluca Morozzi - Lo specchio nero
Hans Tuzzi - Un posto sbagliato per morire
Alicia Gimenez Bartlet - Sei casi per Petra Delicado
Paolo Nori - Manuale pratico di giornalismo disinformato
Febbraio
Andrea Vitali - Olive comprese
Giovanni Floris - La prima regola degli Shardana
Piergiorgio Pulixi - Per sempre
Antonio Manzini - Cinque indagini romane per Rocco Schiavone
Marzo
Irene Nemirovsky- Come le mosche d'autunno
Grazia Verasani - Senza ragione apparente
Gianrico Carofiglio - Passeggeri notturni
Alessandro Robecchi - Di rabbia e di vento
Aprile
Diego de Silva - Terapia di coppia per amanti
Marco Malvaldi - La battaglia navale
Georges Simenon - La camera azzurra
Maggio
Alicia Gimenez-Bartlett - Uomini nudi
Julian Barnes - Il senso della fine
Luglio
Antonio Manzini - 7-7-2007
Lodovico Festa - La provvidenza rossa
Piergiorgio Pulixi - Prima di dirti addio
Irene Nemirovsky - I cani e i lupi
Andrea Camilleri - L'altro capo del filo
Agosto
Alessia Gazzola - Non è la fine del mondo
Settembre
Massimo Carlotto - Il Turista
Ottobre
Alessia Gazzola - Un po' di follia in primavera
Davide Longo - Il mangiatore dì pietre
Alessandro Piperno - Dove la storia finisce
Giorgio Fontana - Un solo paradiso
Novembre
Massimo Tedeschi - Carta Rossa
Gianluca Morozzi - L'uomo liscio
Dicembre
Flavia Perina - Le lupe
Antonio Manzini - Orfani bianchi
Arto Paasilinna - Professione Angelo Custode
Suite francese - Irene Nemirovsky
Libri letti 2016
Gennaio
Gianluca Morozzi - Lo specchio nero
Hans Tuzzi - Un posto sbagliato per morire
Alicia Gimenez Bartlet - Sei casi per Petra Delicado
Paolo Nori - Manuale pratico di giornalismo disinformato
Febbraio
Andrea Vitali - Olive comprese
Giovanni Floris - La prima regola degli Shardana
Piergiorgio Pulixi - Per sempre
Antonio Manzini - Cinque indagini romane per Rocco Schiavone
Marzo
Irene Nemirovsky- Come le mosche d'autunno
Grazia Verasani - Senza ragione apparente
Gianrico Carofiglio - Passeggeri notturni
Alessandro Robecchi - Di rabbia e di vento
Aprile
Diego de Silva - Terapia di coppia per amanti
Marco Malvaldi - La battaglia navale
Georges Simenon - La camera azzurra
Maggio
Alicia Gimenez-Bartlett - Uomini nudi
Julian Barnes - Il senso della fine
Luglio
Antonio Manzini - 7-7-2007
Lodovico Festa - La provvidenza rossa
Piergiorgio Pulixi - Prima di dirti addio
Irene Nemirovsky - I cani e i lupi
Andrea Camilleri - L'altro capo del filo
Agosto
Alessia Gazzola - Non è la fine del mondo
Settembre
Massimo Carlotto - Il Turista
Ottobre
Alessia Gazzola - Un po' di follia in primavera
Davide Longo - Il mangiatore dì pietre
Alessandro Piperno - Dove la storia finisce
Giorgio Fontana - Un solo paradiso
Novembre
Massimo Tedeschi - Carta Rossa
Gianluca Morozzi - L'uomo liscio
Dicembre
Flavia Perina - Le lupe
Antonio Manzini - Orfani bianchi
Arto Paasilinna - Professione Angelo Custode
Suite francese - Irene Nemirovsky
martedì 7 marzo 2017
Le piccole cose fanno la differenza
E poi ci sono le piccole cose, quelle che fanno la
differenza. Che sostanziano ciò di cui si è perso il significato: l’etica,
i valori, il senso civile dello stare al mondo. Sabato mattina. Piove. Sono
fermo ad un semaforo di una strada a 4 corsie che esce dalla città. A 50 metri
di fronte a me, sul lato opposto c’è un bus in sosta alla fermata. Il tempo del
verde e quello è sempre fermo. Riparto e vedo che una ragazza con un piccolo in
braccio, avvolto da un asciugamano bianco, arranca a fatica proprio verso il
bus. Seguo la scena dalla specchietto e la vedo salire. Occhio e croce l’autista
l’ha aspettata due minuti. Non era scontato. Per questo ha ancora più valore.
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