E’ giusto dire ad un malato: hai il cancro. O è meglio tacere, negare, mentire anche?
Non credo ci sia una regola assoluta: dipende dalla storia e dall’emotività
della persona in questione, dalla sua capacità di reggere e di reagire ad una battaglia
durissima. A mio padre ho sempre taciuto la verità. Ho negato e mentito. Mi
sono preso arbitrariamente la responsabilità di questa scelta, sopra di lui, di
mia madre e di mia sorella. E anche oggi, a distanza di quasi 11 anni, non me ne pento.
Sono assolutamente sicuro che papà sapesse. Tutti, in fondo, sanno. Se però
non ne parlano apertamente o non affrontano mai l’argomento – e lui non l’ha
mai fatto, se non all’inizio - probabilmente è perché preferiscono non sapere, perché vogliono delegare ad altri il peso emotivo. L’ultima
bugia gliel’ho raccontata il giorno che l’hanno trasferito dal centro
ematologico, dove era ricoverato, all’hospice, dove avrebbe trascorso quelli che, purtroppo, sarebbero stati i suoi
ultimi giorni. L’exitus mi era ben chiaro, me l’avevano detto i medici e io non
ho mai creduto ai miracoli. Sai papà, qui hai finito il ciclo di terapie,
adesso andiamo in una struttura riabilitativa e poi torni a casa. Ero sicuro
che non mi avrebbe risposto, ma mi ero preparato a reggere il suo sguardo.
L’intera giornata era poi trascorsa nel silenzio più assoluto. Nei giorni
successivi, sarà stata la sospensione delle bombe di chemioterapia, sarà stata
la tranquillità del posto, mio padre aveva riacquistato un po’ di forza e di
colore. Tanto che aveva ripreso a parlare e sembrava quasi credere alla bugia
del suo ritorno a casa. E anch’io avevo iniziato a farlo.
Oggi, 23 giugno, mio papà avrebbe compiuto 82 anni.
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