In treno per Verona, come ogni mattina,
conversavo con la mia amica libraia, quando è passato il controllore. Ha
verificato i biglietti dei presenti, poi ha
guardato noi e, sorridendo, ha detto: voi siete abbonati. Si, come fa a saperlo? Dalla postura. La famigliarità con i luoghi, qualsiasi essi siano, la si
vede da come uno sta, si muove, occupa lo spazio, ne diventa in un certo senso
padrone, trasmettendo questa sicurezza alle persone che lo circondano. Accade,
ed è naturale, nella propria abitazione, in un paese o in una città che si
conoscono, ma anche in auto, o in treno, appunto. Dopo dieci anni di
pendolarismo quotidiano su rotaia posso dire di aver affinato la capacità di
osservazione e di catalogazione dei clienti trenitalia da come si muovono. E dalla postura. Chi ha consuetudine con
il mezzo lo si vede già sul marciapiede: guarda il monitor e soprattutto sta
attento gli annunci. Che da qualche anno non si limitano solo a informare dei
ritardi e del binario di arrivo di un treno, ma indicano anche la
posizione delle carrozze: dalla 7 alla 9 testa treno, dalla 4 alla 6 centro
treno, dalla 1 alla 3 coda treno. Questo consente al passeggero di orientarsi e
di attendere più o meno in prossimità della carrozza di pertinenza, che si
conosce perché il suo numero, così come quello del posto a sedere, sono scritti sul biglietto. Le stazioni più
evolute hanno addirittura monitor che segnalano dove le carrozze si fermeranno.
Il buon senso suggerirebbe che se uno non conosce le regole, o le conosce
poco, dovrebbe a maggior ragione stare
attento a tutte le indicazioni, gli stimoli, gli input che gli vengono dati. Non
è così. Succede invece che una persona, all'apparenza di intelligenza normale,
in stazione, e poi sul treno, si trasforma in un mentecatto. Quando arriva al
binario si posiziona a bibone, indifferente a tutto quello che gli (o le: più
gli che le a dir la verità) accade accanto. E soprattutto ha una capacità
imbarazzante di posizionare se stesso e le valigie dove sicuramente romperanno
i coglioni. Ora, ci sono regole non scritte anche sui binari, come nelle corsie
del supermercato, dove è facile distinguere gli habitué della spesa e chi al
contrario affronta per la prima volta i gironi danteschi della grande
distribuzione: solitamente sono quelli che girano contromano con i carrelli, si fermano all’improvviso
cambiando direzione, lasciano il suddetto carrello in mezzo alle corsie mentre
si aggirano in stato confusionale alla ricerca del viakal, per dire, questuando
a caso un aiuto mentre contemporaneamente cercano di chiamare la moglie al
telefono, con l’unico risultato di farsi cazziare, a volte in viva voce. Quando sono in branco i viaggiatori poco
viaggianti raggiungono livelli imbarazzanti. Combattono l'ansia raccontando puttanate, aneddoti da oratorio, a voce alta, immancabilmente in
sincrono quasi perfetto con gli annunci. E siccome tu sai già come andrà a
finire ti vien voglia di urlare: ma chiudi quella bocca di merda e ascolta.
Quando poi arriva il treno,
leggi loro in faccia il panico. La carrozza 7? chiede il capobranco a chi
transita in quel momento nel suo campo visivo, fosse anche un cinese mandarino
o la signora con cane (e viceversa). Lo
so ma non te lo dico, coglione: la prossima volta stai attento invece di fare
il blagor. L’apertura delle porte è l’accesso
ad un'altra dimensione. Regola vuole, di fisica più che di bon ton, che
prima di salire si deve permettere agli altri passeggeri di scendere. Dopo essere stato
bloccato con già il piede sul predellino, il nostro eroe difende la
posizione con il corpo e invita il seguito a posizionarsi di conseguenza,
valigie comprese. Che si fa passare una
volta guadagnato il disbrigo tra le carrozze, impedendo la salita agli altri
passeggeri. E 10 volte su 10 quella battezzata non è nemmeno la sua carrozza. Qui
inizia la fase 2, la ricerca del posto. (To be continued)
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