“Come la mappa del cielo”, secondo impegno letterario di Lucio Dall’Angelo, dopo “il libro di Baruc” del lontano ‘94, vincitore del prestigioso premio Alberto Tedeschi come miglior giallo inedito e ormai introvabile: rimpiango ancora quel giorno che mi è venuta la malaugurata idea di parlarne ad un amico e di prestarglielo, per non rivederlo mai più.
“Come la mappa del cielo” è un libro bello bello, che detto così sembra un... commento pre adolescenziale – dai, alla tua età puoi fare di meglio – ma è quella bellezza che non sapresti dire diversamente, che ti cattura dall’incipit, ti prende per mano e ti guida attraverso tutti i piani del racconto – e sono tanti – per portarti, con armonia, che della bellezza è parente stretta, a colorare tutte le immagini, o meglio, le mappe, che l’autore ha disegnato sotto la volta del cielo. Rebecca e Francesco sono due ragazzi di 16 e 17 anni, che si incontrano, si annusano ed è come se si conoscessero da sempre. Entrambi stanno cercando delle risposte, che per chiunque a quell’età rappresentano un po’ lo spartiacque della crescita, ma per loro un po’ di più: perché sono risposte senza le quali non potrebbero andare avanti. Rebecca non ha mai saputo chi è suo padre, La vita di Francesco e della sua famiglia è ferma all'incrocio dove il fratello è morto in un incidente in moto e lui è rimasto paralizzato. "Come la mappa del cielo" non è un giallo, almeno secondo i sacri crismi. C’è però un mistero, che porterà i due ragazzi alle verità che cercavano ed è il filo conduttore dell’intera vicenda: la ricerca dell’alfabeto degli antichi camuni, un codice di comunicazione in grado di creare una relazione diretta tra gli uomini, il cielo e la divinità. Ipotesi suggestiva di un giovane archeologo scomparso nel nulla una 15ina di anni prima, mentre stava verificando sul campo le proprie teorie. E questo campo è la Valcamonica, la valle dei segni, la mia valle, che Lucio Dall’Angelo (mi) restituisce in tutta la sua bellezza facendone il palcoscenico di storia, di stelle e di roccia del suo racconto. Nel libro non ci sono solo Rebecca e Francesco, che in Valcamonica, a Ponte di Legno, si trovano in vacanza e che cercano di riannodare i fili di quelle suggestive teorie preistoriche e della loro vita partendo da una foto trovata ne “Il Quindo Evangelio” (libro non a caso) scovato nella libreria della nonna della ragazzina. Ci sono altri personaggi, solo apparentemente minori. In realtà, ed è questa un’altra bellezza dell'opera, tutti hanno una coralità fondamentale nello sviluppo della trama. Alla fine la mappa, in tutte le sue declinazioni, si completerà. La speranza, mia perlomeno, è che Rebecca e Francesco completino un altro percorso di scoperta, del quale Dall'Angelo sapientemente fa cenno più o meno a metà per riprendere nelle ultime righe e che li potrebbe portare in India, sulla rotta dei migranti italiani nelle minierie d'oro.
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