I nonni della casa di riposo hanno sempre gli occhi bassi.
Non penso lo facciano perché per la maggior parte sono costretti in carrozzina,
e la loro prospettiva visiva ne risulta condizionata. Sono più propenso a
credere che sia dignità la loro: la volontà di tenere per sé la tristezza e il
peso di una sconfitta, ancora più della consapevolezza di vivere un ultimo
tempo, scandito dalla monotonia di gesti sempre uguali e da un’ineluttabilità
maligna e perversa, che ogni giorno bussa alla porta per portarsi via qualcuno,
il compagno o il vicino di stanza. Hanno quasi tutti figli questi nonni, che
hanno cresciuto probabilmente con sacrificio. Hanno nipoti, che spesso hanno
accudito meglio di quanto hanno fatto con i figli, e al posto loro. Figli e
nipoti a cui hanno voluto e continuano a voler bene. Lo si legge negli sguardi
di quei pochi che hanno il piacere di una visita non di cortesia. A volte mi trovo a incrociare qualcuno di
questi figli e nipoti e a sentire le conversazioni, meglio: ne ascolto i
silenzi. E’doloroso pensare di non aver nulla da dire ad un genitore, ad un
nonno, non avere un argomento che possa fargli dimenticare per un’ora la
violenza dell’abbandono. Vergogna? E’ il minimo che possa capitare. Del resto
ognuno alla fine deve fare i conti con la propria coscienza. Di una cosa sono
sicuro. Tutti questi parenti non
sapranno mai cosa si stanno perdendo.
Nessun commento:
Posta un commento