Claudio era il più bravo. Infatti arrivava sempre con
soltanto una biglia in tasca. E se malauguratamente capitava che la perdesse se
ne faceva prestare un’altra da uno di noi e immancabilmente iniziava la
raccolta. In verità capitava raramente, non solo che perdesse ma anche che
qualcuno fosse disposto a confrontarsi con lui. Inutile dire che io non mi
tiravo mai indietro: vedere giocare Claudio, che era un po’ più grande di me e
di tutti i miei sodali delle biglie (o cicche, nell’idioma autoctono) era uno
spettacolo. In ogni caso delle biglie perse mi sarei rifatto in seguito con i miei
pari. Poi, vuoi mettere vincere una biglia a Claudio: diventavi l’eroe di
giornata e quella biglia, che era stata nelle mani del campione del me paes, era un trofeo da esibire e da utilizzare nelle
partite successive, per sfruttarne la magia. Ognuno di noi aveva una biglia
preferita, con la quale giocava: in caso di perdita consegnava all’avversario una
di quelle di scorta che teneva in tasca. Ogni tanto qualcuno arrivava con la
marmorina, la regina delle biglie: bianca, con sfumature di colore, che
logicamente non veniva mai messa in palio dal proprietario, almeno fino a
quando rimaneva a secco. Solo allora, a fronte di minimo 10 ciccate, in caso
logicamente di partita testa a testa, la mitica marmorina poteva passare di
mano. La mia biglia portafortuna aveva sfumature arancioni e me la son sempre
tenuta, anche perché non faceva gola a nessuno. Il campo di gioco preferito era
ai margini del piazzale della grande fabbrica dove lavoravano tutti i nostri
genitori, poco prima del canale che scorreva a fianco della parete sud del cotonifico
e degli orti, a disposizione dei residenti nelle case operaie, dove sempre i nostri
genitori coltivavano la verdura e allevavano galline e conigli. Approfittando
di una riasfaltatura avevamo scavato una piccola buca che, come dicevo nella
puntata precedente, rappresentava il cuore del gioco, l’abbrivio di tutto, in
un certo senso metafora della vita, ma all’epoca non arrivavo a tanto. E fortunatamente
questo potrebbe rappresentare un’attenuante. Quella era la buca per
antonomasia. A cicche si giocava lì. Il campo principale, il Maracanà, il
Bernabeu delle biglie era il piazzale dell’Olcese. Lì venivano i bambini da
tutte le contrade, persino dall’estremo Nord, dalla località Prada, terra di
nessuno tra i paesi di Cogno e di Cividate. Arrivavano in bici e comunque
giocavano sempre fuori casa. I padroni del campo eravamo noi delle case
operaie. E Claudio era uno dei nostri.
(Continua)
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