Pietro
e Giulio. Il primo, maresciallo dei carabinieri alle soglie della pensione, il
secondo, poco più che ventenne, studente di giurisprudenza. Si incontrano in un
centro riabilitativo. Pietro sta recuperando da un intervento di protesi
all’anca, Giulio da un incidente in auto. Iniziano a parlare, ma non di
banalità o del tempo. Il loro è quasi un dialogo platonico. Pietro Fenoglio nella
parte di Socrate guida il suo Teeteto a riflettere sulla conoscenza, sui
concetti sfuggenti di verità e menzogna, sull’idea stessa del potere. Qualcuno
ha scritto, e io sono d’accordo, che questo ultimo lavoro di Carofiglio è un
manuale sull’arte dell’indagine nascosto in un romanzo avvincente, popolato da
personaggi di straordinaria autenticità: voci da una penombra in cui si
mescolano buoni e cattivi, miserabili e giusti. La trama si regge sulle storie del
maresciallo, personaggio un po’ fuori dagli schemi: colto, interessato all’arte
e alla letteratura, un uomo con un altissimo senso della giustizia. Pietro e
Giulio sono in un momento delicato della loro esistenza: entrambi non sanno
cosa li aspetta. Il maresciallo non osa immaginare la sua vita in pensione.
Giulio non sa cosa farà da grande. Nei loro incontri, e nel loro raccontarsi,
troveranno insieme alcune risposte ma inevitabilmente
anche nuove domande. Unico appunto: in alcuni momenti sembra che i due
protagonisti perdano di autenticità: il loro modo di parlare, di interrogarsi,
stride un po’ con quello a cui siamo abituati. E non solo nei romanzi. La
versione di Fenoglio è un piacere, intellettuale ed estetico: per chi ha voglia
di concedersi pagine belle.
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venerdì 15 novembre 2019
lunedì 11 novembre 2019
Effetto domino
Ho scoperto di recente nel mio
tour quotidiano da Feltrinelli della trasposizione cinematografica del libro di
Romolo Bugaro, film presentato anche alla Mostra di Venezia. Romolo Bugaro è un
avvocato di Padova, per professione si occupa di fallimenti: tanti negli ultimi
anni, conseguenza della decrescita repentina che ha travolto centinaia di
attività nate alcuni decenni fa in pieno boom economico. La cronaca ne parla
quotidianamente, in termini anche tragici, con imprenditori che si tolgono la
vita perché non riescono a far fronte agli impegni o per vergogna. “Effetto
domino”, che ho letto l’anno scorso, racconta la crisi economica nel Nord Est e
lo fa senza sconti: una narrazione cruda quella di Bugaro, un pugno nello
stomaco che non ti dà scampo fino alla fine. Al centro della storia c’è una
speculazione edilizia o per meglio dire l’operazione della vita dei due
protagonisti: la riqualifica di duecentomila metri cubi di terreno, che dovrebbero
diventare una nuova prestigiosa area urbana nella campagna veneta. Un progetto
enorme, che si alimenta e vive
dell’ambizione e della voglia famelica di uomini che si nutrono solo di
business, che si alzano al mattino con l’unico scopo di legare il loro nome, e
il portafogli, a qualcosa di grandioso, indipendentemente dalla sua reale
utilità, non parliamo dell’etica. Ma ad un certo punto qualcosa si rompe, e non è colpa di nessuno. Divergenze interne a una
delle banche finanziatrici bastano a far andare tutto a rotoli: per gli
imprenditori a capo dell’impresa e poi giù a catena, per i fornitori, i
fornitori dei fornitori, che a loro volta avevano investito, anticipato, dato
credito, le loro famiglie, il contesto sociale. L’effetto domino, appunto. Che
nessuno ha voluto arginare, quando forse si era ancora in tempo. Perché
“fermarsi voleva dire perdere tutto (…). E nessuno avrebbe distrutto
l’investimento più importante della sua vita”. Lo consiglio e sono curioso di
vedere il film.
giovedì 7 novembre 2019
Niente caffè per Spinoza
Ho amato “Niente caffè per
Spinoza” da subito, dal titolo. Ne ho letto una 30ina di pagine da Feltrinelli
a Parma dove mi capita, per ragioni famigliari, di passare del tempo in attesa.
Al primo piano ci sono poltroncine confortevoli, si può attingere dagli
espositori e leggere tranquillamente. Al piano terra c’è invece una zona
riservata ai ragazzi per studiare. Amo la Feltrinelli di Strada Farini anche
per questo. Sto divagando, ma mi sembrava importante dirlo. Giro tra le corsie
e mi lascio guidare dalle emozioni. Sono convinto che siano i libri a
chiamarci, non il contrario. Ed è assolutamente inutile opporsi. In un primo
momento “Niente caffè per Spinoza” l’ho visto e gli ho girato intorno come
Gatto Silvestro con Titti, perché quel giorno avevo un altro obiettivo. Il
tempo di sedermi e di non riuscire a concentrarmi sull’obiettivo e son tornato
sui miei passi. Di solito, quasi sempre, sempre, quando inizio un libro da
Feltrinelli poi lo compro. Mai come stavolta però sono contento di essermi
fatto guidare dall’istinto. Elisa è una donna giovane, alla ricerca di tante
cose, ma prima di tutto di una ragazza che si occupi della casa e di suo padre
anziano, cieco e malato. Elisa vive in Svizzera, con un marito, più o meno, e
due figlie adolescenti. Anche Maria Vittoria è alla ricerca di tante cose, per
esempio di fare pulizia nella sua vita, a partire dai pesi inutili, il marito e
la suocera. E per farlo ha bisogno di trovare un lavoro. Il signor Luciano,
anzi il Professore, ex insegnante di filosofia, ha invece bisogno di
continuare, per quanto gli rimane, a trovare le risposte giuste dai maestri del
pensiero: da Epitteto, Epicuro, Aristotele, da Galilei, Hume, Spinoza,
Schopenhauer, ma soprattutto dall’amato Pascal. Nasce tra i due una complicità
bellissima, a tratti commuovente. Mentre Maria Vittoria, tra un caffè e una
minestra, gli legge i filosofi, il Professore, che ha imparato a vedere nel
buio, o forse lo sa da sempre, le insegna la cosa fondamentale: nei libri si
possono trovare le idee per riordinare anche la vita. Sul palcoscenico del
romanzo, scritto benissimo, ambiente tra Livorno e Pisa, ruotano altri
personaggi: gli amici del Professore, ex insegnanti a loro volta, che
quotidianamente vengono a prelevarlo per una passeggiata e per discutere di quanto
scrivono i giornali. C’è la Vally, l’anziana cognata, c’è la vicina di casa e
il medico al piano di sotto, che cerca con discrezione di occuparsi del suo
corpo malandato. I segni e le ombre di quando era ancora viva la moglie. Ci
sono 2 ex allievi che passano periodicamente, perché non si finisce mai di
imparare. Le giornate trascorrono così, apparentemente tutte uguali, cadenzate
dalle abitudini e dalle piccole manie tipiche degli anziani: ma sono giornate
impreziosite dalle citazioni, che in modo discreto danno un senso al procedere
del tempo. Così sino alla fine, che poi non è mai un assoluto, perché è la
conoscenza che guida. E quella si impara ma soprattutto si trasmette. Il
Professore l’ha fatto per tutta la vita e trova fino all’ultimo il modo di
farne dono. Sia materialmente, regalando i libri: uno alla volta, per dare
tempo al tempo, sia maieuticamente: anche Maria Vittoria, come Teeteto con
Socrate, è travolta dalla fame di conoscenza e l’ultima sera gli confida che
riprenderà a studiare. Il romanzo di Alice Cappagli, laurea in filosofia,
violoncellista nell’orchestra della Scala, ha un unico difetto. L’ho
finito.
giovedì 31 ottobre 2019
Ogni riferimento è puramente casuale
L’aspirante scrittore che ce
la fa ma poi non regge la pressione. Lo scrittore affermato e venerato. Le
logiche e i rituali delle presentazioni, anzi delle presentation. Quelli del
firma copie. Gli interessi degli editori e quelli degli uffici stampa. Ma anche
dei critici, tra frustrazioni e orgoglio: la normalità sconosciuta, chiamiamola
così. Perché anche il mondo che sta attorno e chi governa i libri ha i suoi
scheletri: c’è chi scrive di suo e chi scrive per altri, c’è chi ha successo,
le copertine, i riflettori con la panna montata perché è stato deciso così e
poi c’è il gruppo, i gregari, si direbbe nel ciclismo. Un mondo che Antonio
Manzini conosce bene, essendo uno dei giallisti di maggior successo, e che
mette a nudo con ironia e sarcasmo. Ogni riferimento è puramente casuale è una
raccolta: 7 racconti brevi molto coinvolgenti e piacevoli da leggere, che non
spoilero proprio per questo. Rimane la morale un po’ amara. Il libro non è
cultura, approfondimento, condivisione di idee, o perlomeno non solo. E’
marketing. Per questo, aggiungo io, bisogna diffidare degli osanna e passare
del tempo a cercare le chicche in libreria o in biblioteca. Sperando che queste
chicche siano arrivate fin lì. Ma su questo noi lettori non possiamo farci
nulla.
lunedì 28 ottobre 2019
Noir all'italiana
Del Codice dei Cavalieri di
Cristo e di Confusione morale ho già parlato in due post dedicati. Un accenno
l’ho già fatto anche sull’Uomo liquido, lettura esilarante: Morozzi ha grandi
doti narrative, per due libri è stato capace di tenere in piedi la storia,
drammatica, di quest’uomo che a causa di una rarissima malattia ha perso pene e
testicoli, rimanendo in pratica liscio – L’uomo liscio era il titolo del primo
romanzo – riuscendo comunque a mantenere integra la sua fama di donnaiolo. Le
altre 4 letture sono tutti noir e le vorrei riassumere brevemente qui,
dichiarando sin da subito le mi preferenze, tra conferme, belle sorprese e
piccole delusioni.
La conferma è Roberto Perrone
con il terzo romanzo della serie che ha per protagonista Annibale Canessa,
libri da leggere in sequenza perché altrimenti si perdono alcuni riferimenti,
soprattutto i rapporti tra i personaggi che ruotano intorno al colonnello in
pensione. Nell’Ultima volontà, il finto suicidio di un giovane ricercatore
porta Annibale e la sua strana squadra, che ricorda un po’ quella
dell’Alligatore di Massimo Carlotto, in Emilia, negli anni della guerra
partigiana, per fare luce su una vicenda allora sotterrata in fretta e furia e
poi caduta nell’oblio. Perrone mette il dito in questioni politiche ancora
sensibili sulla lotta di Liberazione, ma lo fa con grande maestria e abilità,
senza la pretesa di voler riscrivere la storia o dare giudizi. In attesa del
prossimo Canessa, una bella opera prima:
Il seme della violenza di
Ludovico Paganelli. Siamo nella Milano dell’Expo, alla vigilia di Natale. Un
broker viene assassinato e il commissario Margot Blanchard, donna tutta da
declinare al superlativo, a partire da bellissima, si ritrova man mano immersa
in una storia torbida, che va oltre la finanza, i soldi liquidi e le perdite in
borsa, come possibile movente del delitto. Racconta di donne violate,
connivenze e abusi di potere che riporteranno il commissario Blanchard a fare i
conti con un passato personale doloroso, sotterrato per anni in un armadio
insieme alle foto e le lettere che ne danno contezza ma che ora è chiamata ad
affrontare, per sé e per non perdere gli affetti più cari. Lo consiglio.
Su Il cuoco dell’Alcyon ho
qualche remora. Il testo nasce come sceneggiatura per una coproduzione italo
americana e si vede, nonostante Camilleri abbia rivisto la scrittura per darle
la dimensione del romanzo, Il Maestro ci consegna però un Montalbano diverso da
quello che conosciamo e a mio avviso poco credibile. I temi sono quelli cari a
Camilleri, a partire dal malaffare ai più alti livelli, che si incontra su una
barca a vela e che un duo quasi comico, Montalbano Fazio, è chiamato a
sgominare in appoggio all’FBI. Ho letto recensioni molto positive su
quest’ultimo Montalbano, con argomentazioni peraltro condivisibili, per esempio
le riflessioni sulla società attuale, nel caso specifico il mondo del lavoro,
che sempre contraddistinguono i romanzi di Camilleri. Ferma restando la
scrittura magnetica e le contaminazioni tra giallo e spy story continuo però a
non essere convinto e a preferire il vecchio Commissario.
Chiudo con Farinetti che ha da
sempre abituato a trame solide e coinvolgenti, immerse nei profumi e nelle
atmosfere piemontesi – nello specifico
delle Langhe - e che a quattro anni dall’ultimo romanzo ci consegna
questo La Bella Sconosciuta, che devo confessare mi ha lasciato un po’ l’amaro
in bocca. Nel libro ci sono più o meno tutti i personaggi farinettiani, sempre
ben disegnati e caratterizzati con precisione e ironia, ci sono come detto le
Langhe e i suoi paesaggi, c’è la storia - il morto che più o meno tutti
avrebbero potuto ammazzare e un colpevole che non ti aspetti – ma.
Personalmente non mi convince la parte, chiamiamola così, sociale, sempre
presente anche in Farinetti. Nel caso specifico un tema delicato e tuttora
sensibile come il cambio di sesso, che comporta un percorso interiore e di
accettazione e che qui finisce per risultare una provocazione e una punizione –
vendetta? – verso un certo conformismo borghese.
domenica 27 ottobre 2019
La confusione morale
L’impianto è quello del
giallo. C’è un morto ammazzato, un geometra del comune di Milano iscritto al
PCI. Ma La confusione morale è un libro politico. Lodovico Festa è stato un
funzionario del partito comunista milanese, ne conosceva l’ambiente, le
dinamiche, l’impronta burocratica quasi militaresca e come nel precedente La provvidenza rossa gli viene
naturale parlare di quegli anni per darne una lettura e un’analisi storica – e
politica – più ragionata e obiettiva. Siamo nel 1984, Berlinguer è appena morto
lasciando un vuoto e probabilmente una confusione morale nei suoi eredi. Al
governo c’è Bettino Craxi. Milano è guidata da una giunta di sinistra con
socialisti e comunisti. Iniziano a farsi strada figure imprenditoriali che
contribuiranno a modificare il tessuto sociale ed economico del Paese. La
trasformazione urbanistica del territorio milanese è legata a doppio filo a
costruttori chiacchierati. In questo contesto matura l’omicidio. Un omicidio
che, si capisce sin da subito, diventa un fatto marginale o di contorno
rispetto alle implicazioni politiche che potrebbero derivare se la morte del
geometra fosse in qualche modo legata al Piano case del Comune, cosa che non
dispiacerebbe a Botteghe Oscure. E qui si sviluppa l’inchiesta di Mario
Cavenaghi, il presidente dei probiviri lombardi, una sorta di polizia interna,
che cerca di dirimere tutte le questioni spinose, a salvaguardia del partito.
Cavenaghi non cede alla facile e comoda ricostruzione che ha l’obiettivo di
screditare Craxi sacrificando al contempo il governo del capoluogo lombardo.
L’indagine è anzi un’occasione per rivedere alcune posizioni. Il mondo stava
cambiando e il PCI sbagliava – sostiene Festa – a leggerlo e giudicarlo con
logiche e schemi superati. Forse, fa dire l’autore ad alcuni protagonisti,
valeva la pena prendere in considerazione alcune idee lungimiranti di Bettino
Craxi e aprire un dialogo diverso con il PSI. I destini della Prima Repubblica
sarebbero stati diversi, non solo perché affidare alla magistratura la surroga
della politica comporta la morte di quest’ultima, ma anche perché la storia
successiva dell’Italia sarebbe stata diversa, sia a sinistra che soprattutto a
destra. La confusione morale è un bel libro ed è una lettura interessante per
chi ha vissuto quegli anni, magari un po’ macchinosa: l’autore la scrive
volutamente con la lentezza tipica delle meditazioni, dei dubbi e delle
ricostruzioni di un burocrate del partito comunista, ma quando si entra nella
narrazione la sostanza compensa lo sforzo.
venerdì 25 ottobre 2019
Il Codice dei Cavalieri di Cristo
C’è il cadavere di un uomo sul
monte Pellegrino a Palermo, la gola tagliata e degli strani segni sul petto. A
dare l’allarme è Julien Brunner, docente di Geoscienze dell’Università di
Losanna, che rilascia la sua deposizione, poi esce dalla Questura e sparisce
nel nulla. Il giorno successivo altri due cadaveri, a Cefalù: un uomo e una
donna, appartenenti ad una setta esoterica, gli stessi segni sul petto, che si
scoprirà poi essere simboli di un alfabeto antichissimo, l’enochiano. Quando
gli inquirenti cercano di rintracciare Brunner per capirne di più, scoprono che
il professore, di origine portoghese, è in realtà morto il giorno prima di
comparire vivo e vegeto sul monte siciliano. Inizia così la nuova indagine del
vicequestore Giovanni Barraco, capo della Mobile di Palermo. Un caso che lo
porta a Lisbona ad indagare dapprima in un convento – il primo morto era un
frate – e poi indietro nel tempo nell’Ordine dei Cavalieri di Cristo, che nella
capitale portoghese viene tenuto in vita dai discendente diretti appartenenti
alla nobiltà locale, in teoria con l’obiettivo statutario di fare opere di
bene, in realtà non tutti in quel consesso la pensano allo stesso modo. Ci
saranno altri morti, a partire proprio da uno di questi Cavalieri, in un
susseguirsi di colpi di scena orchestrati con maestria e abilità da Carmelo Nicolosi, che
vedono il suo Barraco impegnato in una delicatissima partita a scacchi, dove ad
ogni mossa si rischia il matto (o il morto): il vicequestore non solo deve
sciogliere la matassa sempre più ingarbugliata di un caso internazionale -
anche la mafia marsigliese entrerà nel gioco e la storia si intreccerà con
un'altra vicenda: il traffico illegale di gioielli dal Congo - ma è costretto a
guardarsi le spalle perché nella polizia portoghese c’è chi potrebbe fare il
doppio gioco. Per venirne a capo Giovanni Barraco può contare solo sui suoi
uomini a Palermo, su Gisella Bruno, che lo raggiungerà a Lisbona, sul tenente
Celia Moreira, avvenente collega con la quale nascerà qualcosa di più della
semplice colleganza e Paulo Mafra, agente della polizia locale. Barraco alla
fine troverà il colpevole, il burattinaio di tutti i morti ammazzati – e sono
tanti - ma la cosa interessante è che fino alle ultime pagine non si riesce a
capire chi è e perché. E quello che mi sento di dire è che anche il mio amico
Carmelo credo l’abbia deciso solo agli ultimi 300 metri. Come in una gara di
ciclismo ha portato sul rettilineo finale i 4-5 velocisti più forti, nel nostro
caso i papabili colpevoli, e alla fine ne ha scelto uno. Al fotofinish. Inutile
dire che lo consiglio.
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